Poco più di un anno fa fu stretto il primo, storico, accordo ufficiale di collaborazione fra una società di baseball italiana, la Fortitudo Bologna, e una franchigia di Major League, i Seattle Mariners.
nPresentato come friendship agreement prevede, come abbiamo già avuto modo di illustrare ai nostri lettori-web, un supporto in termini di contatto e garanzia sui giocatori delle farm, di ospitalità tecnica per i singoli e/o le squadre, di agevolazione per le forniture dei materiali da parte degli Americani e una contropartita per quanto riguarda l’utilizzo delle strutture per provini a prospetti europei, la creazione di una testa di ponte sul Vecchio Continente e, più in generale, un contributo importante alla penetrazione e diffusione del marchio da parte della Fortitudo.
nLa notizia ebbe, all’epoca, una discreta copertura da parte degli organi di stampa: i tre quotidiani sportivi, ma anche alcune delle testate generaliste e i mezzi locali la riportarono, almeno in qualità di pallino e sappiamo bene come, di questi tempi, il nostro sport deve accontentarsi di ciò che passa il convento, pur con la sempre maggiore attenzione che lo sport business (e a tale categoria la notizia è da ascrivere) sta assumendo sui mass media.
nnQualche settimana fa è poi stato il turno del CUS Parma per dare l’annuncio di un accordo molto simile raggiunto con i Los Angeles Dodgers. Anche questa volta parte dei giornali nazionali, magari un po’ meno, ha riportato la notizia.
nnBè, ci saremo detti, il baseball in Italia è ai minimi storici, le squadre americane non se le fuma nessuno, magari, in fondo, per il resto degli Italiani non erano poi ‘ste grandi notizie.
nMa quello che è successo giovedì 8 febbraio 2001 ha dell’incredibile e deve farci riflettere con grande attenzione. Tutti, e dico tutti i più importanti giornali nazionali hanno dato risalto alla partnership fra New York Yankees e Manchester United, con il Corriere della Sera a spararsi due terzi di pagina e addirittura il Sole-24 Ore con un articolo a tre colonne corredato di foto e tabella nelle pagine di finanza internazionale.
nD’accordo, si tratta delle due squadre più famose dei rispettivi sport (volendo esagerare potremmo anche definirle le due squadre-simbolo dei rispettivi paesi), si tratta pure di un accordo che muoverà diversi miliardi ma, sinceramente, la prima cosa che d’istinto mi è venuta da pensare è quanto sono strani i giornali: al lettore italiano cosa importa che i tifosi del Bronx possano acquistare magliette dei Diavoli Rossi o che a Manchester si vada allo stadio in pinstripes?
nMa poi, riflettendoci sopra un poco, scopriamo che c’è molto più di questo: stiamo parlando di due colossi sportivi che capitalizzano ben oltre i mille miliardi a testa, di due mega-aziende che stipulano un vero e proprio accordo di co-marketing che implica, sì, il merchandising, ma va molto oltre, coinvolgendo i più importanti aspetti finanziari e strategici.
nÈ una joint venture dal potere contrattuale enorme nei confronti dei potenziali sponsor, delle emittenti interessate ai diritti televisivi, dei rispettivi vastissimi bacini d’utenza.
nÈ una corazzata pronta a conquistare nuovi mercati reciprocamente deboli e a bassissima sovrapposizione, a trasformare in business il proprio mito, fatto di Babe Ruth, Bobby Charlton, Joe Di Maggio e Marylin Monroe, David Beckham e Posh Spice, Fabien Barthez e Linda Evangelista, Derek Jeter e Mariah Carey, di Gehrig, Mantle, Edwards e Robson, di decine di titoli vinti, di decine di miliardi in ingaggi, di trionfi e tragedie.
nÈ una macchina di marketing e comunicazione dall’impatto terrificante, che è riuscita a scuotere dal proprio torpore nazional-calcistico le grandi testate italiane (fornendo tempestivamente, va detto, ampio materiale su cui lavorare), che dovremo avere la pazienza e l’umiltà di seguire e studiare, per trarne elementi sicuramente utili da adattare e applicare alla nostra realtà.
nnQuindi? Quando il top si unisce al top, non ce n’è più per nessuno? Non credo, perché il progetto è più ampio e assolutamente non casuale.
nUn anno fa la MLB, per voce di Paul Beeston, aveva dichiarato senza mezzi termini la propria strategia fondamentale per il nuovo millennio: globalizzazione come unica strada per rimanere competitivi sul mercato dell’entertainment business.
nBene, signori, l’attacco è iniziato da parte di chi possiede la storia, il know how e i mezzi per portarlo avanti. Come già alcune Società hanno fatto, ora si tratta di trovare la giusta collocazione per il nostro baseball all’interno della rivoluzione in arrivo, nel rispetto della nostra storia e della nostra tradizione, ma, finalmente come parte integrante del progetto di baseball nel mondo che ci accingiamo a vivere. Già alcune avvisaglie di azione in questo senso da parte della nuova Fibs sono state divulgate, attendiamo con grande interesse di conoscere i particolari, confidando che il nostro movimento abbia oggi ritrovato la forza e l’entusiasmo, dalla base al vertice, per sostenere un nuovo importante programma di crescita.n
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