Crescere: siamo tutti d'accordo?

Due premesse, per cominciare.
Non vi darò indicazioni di voto. Queste elezioni non sono a suffragio universale e io non voto. Sarei quindi eticamente imperdonabile, se esprimessi un candidato preferito.
Ho deciso di scrivere questo articolo a notte inoltrata, perché è il momento in cui la mia mente è più libera.

Non mi è piaciuta, la campagna elettorale. E in fondo mi sono pentito di non essermi candidato io, come qualcuno di voi mi aveva chiesto. Non che io avessi speranze di vincere, ma almeno certe cose le avrei dette chiare.
A Riccardo Fraccari avrei ad esempio ribadito che non bisogna far confusione tra quello che è il ruolo istituzionale di una Federazione e quello che è il ruolo di altri organismi, che possono fare di tutto, anche cercare sponsor.
Mi sarebbe in un certo senso piaciuto far parte del gruppo aperto. Ho la segreta ambizione di scrivere per intero un discorso di Valerio Pradal e leggerlo ad alta voce, per vedere l’effetto che fa. Perché io non ho mica capito cosa dice, Pradal. E secondo me lui ha un sacco di belle idee in testa, ma quel suo italiano verbosissimo e arzigogolato non lo aiuta. E poi, Valerio: io al Mondiale c’ero e l’Italia ti posso garantire che ha giocato con scritto ‘Italia” sul petto. L’episodio al quale ti riferisci tui è accaduto al ‘World Port Tournament’.
Di Fraccari mi ha un po’ stupito il riproporre 2 dei 3 ‘Dalla Noce Boys’ (oltre a Pradal, Felletti). Mossa per lo meno azzardata, secondo me. Almeno considerato che il movimento non ha fatto mistero di essersi pentito amaramente del voto dato un anno fa. Specie in Emilia Romagna, secondo me un sacco di società si sono fatte dei pro memoria grossi così con le foto segnaletiche di chi, secondo loro, li aveva ‘traditi”.
A Bruno Bertani avrei innanzi tutto fatto notare che Fraccari si presenta con a fianco Monica Corvino e lui con Giancarlo Rosetti. Se poi Fraccari lo guardano di più, c’è un motivo.
Più seriamente, gli avrei sconsigliato di impelagarsi con le piccole società in piccoli discorsi.
Piccolo non è necessariamente sinonimo di ‘brutto” o ‘inutile”, ma siamo uno sport che fa fatica a far sapere che esiste, può un Presidente Federale preoccuparsi delle paturnie di chi non vuole in C squadre satellite delle società di A o B?
A Bertani avrei anche sconsigliato vivamente di fare suoi i concetti sulla comunicazione di Aldo Notari, che sarà anche Presidente Mondiale ma dice delle cose che non stanno né in cielo né in terra. Il baseball non si può vendere, presidente? E chi l’ha detto? Io, se permette, di questo notaripensiero non mi fido. Perché chi lo ha partorito è stato sì capace di vantarsi del quarto posto della Nazionale ai Mondiali del 1998, ma non ha saputo nemmeno mettere in vendita un cappellino, un sottomaglia, per non dire una casacca di quella squadra. Se non sfruttiamo il miglior risultato di sempre del nostro baseball, allora stiamo a casa che è meglio.
Vi rendete conto che il baseball ha un oggetto come il cappellino che ormai portano tutti, no? Ebbene, nella vostra città d’inverno, tra le migliaia di cappelli ‘stile baseball’ che vedete, provate a contare quelli con le insegne delle nostre squadre. Per contarli, una mano andrà benissimo. E poi il baseball non si può vendere.
A Taiwan, ad esempio, il ‘Made in Italy’ è un mito. L’azzurro dei cappellini e dei sotto maglia dell’Italia piaceva a tutti. Sulle bancarelle, però, non c’era un cappellino con la ‘I’ in vendita. Ce n’erano già pochi del Mondiale, per la verità.
E per arrivarci a produrre una linea dell’Italia non serviva un ‘guru del marketing’, l’omino che mi sveglia con la sua verdura fresca al sabato andava benissimo.

Agli altri candidati, comunque, non avrei avuto niente da dire.

A chi vincerà, voglio a questo punto esternare la mia opinione personale. Il futuro del baseball in Italia non può prescindere dalla nascita di un campionato che si avvicini il più possibile al professionismo e che funga da traino del movimento. Un campionato che deve giocare in via continuativa e, presto o tardi, arrivare a fare le 140 partite all’anno che qualsiasi Lega ‘pro’ americana fa. La ‘Major League’ vuole una Lega in Europa? Bene, facciamogliela e presentiamogliela pronta da impachettare, con dentro anche giocatori olandesi, tedeschi, francesi. ‘Spaghetti League”, la possiamo anche chiamare. Basta che cacciate i dollaroni, quelli ‘vecchio stile’, verdi.
Ovviamente, un campionato del genere dovrebbe essere gestito dalla ‘Lega’, con la ‘Federazione’ ad occuparsi dell’attività di base. Altrettanto ovviamente, non ci si arriverebbe in 3 mesi, ma intanto si possono gettare le basi per valorizzare al massimo il vertice senza danneggiare la base.

Non so se si è capito, ma io sono più per il modello di baseball americano che per quello da Germania Est che mi pare ancora in vigore da noi. E con piena soddisfazione di molte società, che sono ben felici di avere Mamma Federazione che cambia i pannolini per conto loro.
Il fatto è che, contenti o no, il 2000 è questo: sport agonistico lo fa chi ha i soldi per farlo. E non tiratemi fuori De Coubertin o la Parrocchia: chi vuole fare sport ‘per fare 2 corse” non ha che da volerlo. Ma, se permettete, qui stiamo parlando d’altro.

In sintesi, credo che chiunque vinca abbia bisogno che il movimento accetti che venga presa un’altra strada. Scriveva un lettore che Nel baseball italiano siamo in 10 e anziché cercare di diventare 12, facciamo di tutto per rimanere in 8, così contiamo di più. Ha ragione. Da vendere. Ma così non va. E se il nostro baseball non perde questo complesso, chiunque vincerà le elezioni non potrà che fare male.

Anche la categoria che rappresento deve essere capace di fare il salto di qualità. Noi giornalisti non abbiamo né il compito di scrivere programmi elettorali né quello di fare i tifosi della nostra squadra del cuore: noi dobbiamo solo raccontare quello che succede in campo, dove uno strike out si chiamerà sempre strike out e una palla veloce che fa ‘bang” nel guantone del catcher resterà sempre il più bel rumore del mondo.

Riccardo Schiroli

Nato nel 1963, Riccardo Schiroli è giornalista professionista dal 2000. E' nato a Parma, dove tutt'ora vive, da un padre originario di Nettuno. Con questa premessa, non poteva che avvicinarsi alla professione che attraverso il baseball. Dal 1984 inizia a collaborare a Radio Emilia di Parma, poi passa alla neonata Onda Emilia. Cresce assieme alla radio, della quale diventa responsabile dei servizi sportivi 5 anni dopo e dei servizi giornalistici nel 1994. Collabora a Tuttobaseball, alla Gazzetta di Parma e a La Tribuna di Parma. Nel 1996 diventa redattore capo del TG di Teleducato e nel 2000 viene incaricato di fondare la televisione gemella a Piacenza. Durante la presentazione del campionato di baseball 2000 a Milano, incontra Alessandro Labanti e scopre le potenzialità del web. Inizia di lì a poco la travolgente avventura di Baseball.it. Inizia anche una collaborazione con la rivista Baseball America. Nell'autunno del 2001 conosce Riccardo Fraccari, futuro presidente della FIBS. Nel gennaio del 2002 è chiamato a far parte, assieme a Maurizio Caldarelli, dell'Ufficio Stampa FIBS. Inizia un'avventura che si concluderà nel 2016 e che lo porterà a ricoprire il ruolo di responsabile comunicazione FIBS e di presidente della Commissione Media della Confederazione Europea (CEB). Ha collaborato alle telecronache di baseball e softball di Rai Sport dal 2010 al 2016. Per la FIBS ha coordinato la pubblicazione di ‘Un Diamante Azzurro’, libro sulla storia del baseball e del softball in Italia, l’instant book sul Mondiale 2009, la pubblicazione sui 10 anni dell’Accademia di Tirrenia e la biografia di Bruno Beneck a 100 anni dalla nascita. Dopo essere stato consulente dal 2009 al 2013 della Federazione Internazionale Baseball (IBAF), dal giugno 2017 è parte del Dipartimento Media della Confederazione Mondiale Baseball Softball (WBSC). Per IBAF e WBSC ha curato le due edizioni (2011, 2018) di "The Game We Love", la storia del baseball e del softball internazionali.

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Riccardo Schiroli

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