La serie A1 è di nuovo alle prese con ‘l’oriundite. La malattia che ciclicamente affligge gli sport italiani e vede come vittime maggiormente colpite da questo fenomeno i dirigenti sportivi. Questi, trasformandosi in novelli sociologi, si lanciano in studi dei flussi migratori della popolazione italiana e nella consultazione degli annali dello stato civile dei più piccoli comuni dello stivale.
Invece di investire nei vivai, escogitare nuove idee per strappare i giovani al calcio o alle playstation, si preferisce andare a cercare oltre oceano giocatori già fatti. Così, settimanalmente, torme di italiani residenti all’estero di non eccelse qualità scendono sui campi di baseball.
La sensazione, così a naso, è che ci sia qualcosa che non vada. Senza voler indagare sulla legittimità o meno delle documentazioni a supporto di concessioni della cittadinanza occorre una presa di coscienza da parte di tutti.
La questione andrebbe vista da due lati, quello della federazione e quello delle società.
Il presidente federale ha riproposto l’idea della selezione P.O., è ancora un progetto in divenire, ma l’idea è buona. La precedente esperienza ha creato una generazione di giocatori che per un decennio ha costituito la forza del batti e corri nostrano. Sempre dalla Fibs arriva la messa in atto dei camp estivi e quella della creazione dei CAS. Se si vuole preservare il valore dello sport inteso come attività ludico motoria che serva a far crescere i ragazzi, allora la via è quella del potenziamento dei vivai, con progetti mirati coinvolgendo anche le istituzioni scolastiche ed il ripristino dell’obbligo di avere formazioni giovanili. Se la filosofia è, che il futuro del baseball, anche in termini di richiamo per sponsor e media, può passare solo ed esclusivamente attraverso la crescita del livello tecnico allora la scelta è quella dell’apertura incondizionata agli stranieri; si liberalizzi il numero degli stranieri e si introduca una norma che imponga la presenza in campo di un certo numero di giocatori si scuola italiana. Si continuerebbe così a dover investire sul vivaio (necessità di qualunque sport dilettantistico) e si alzerebbe il livello dello spettacolo.
Una soluzione tipo quella attuata nel basket. La nazionale stessa, se la si vuole competitiva, in un baseball internazionale aperto ai professionisti, nelle grandi competizioni necessita di rinforzi, ma di rinforzi al top.
Anche le società dovrebbero fare delle scelte. Evidentemente la ingloriosa fine del Caserta ha insegnato molto poco ai nostri dirigenti. Premesso che nello sport agonistico l’importante è vincere, qui si è perso il senso della misura. I roster delle nostre squadre presentano italiani residenti all’estero di qualità non eccelsa. Se l’obbiettivo è quello di rilanciare questo sport la strada da percorrere non è certo quella di infarcire i team di giocatori che poco o nulla aggiungono al valore delle squadre. Se si vuole alzare il tasso tecnico del nostro baseball per avere un migliore spettacolo e quindi un ritorno di pubblico e di attenzione da parte dei media non è questa la soluzione. Lo spettacolo si alza con i professionisti. Se il problema è quello che mancano i lanciatori per avere tre gare di spessore, allora si prenda nota della situazione e si decida cosa si vuol fare. Se non si vuole tornare indietro, alle due gare cioè si trovi un’altra soluzione. In ogni caso occorre che le società si guardino in faccia e arrivino ad un gentlemen’s agreement.
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