Com’è piccolo il mondo. O, meglio, com’è piccola Sherbrooke. Al termine delle partite di ieri sera, insieme ad alcuni membri dello staff azzurro, ci siamo recati in un disco-bar vicino al centro cittadino, che alcuni indigeni ci avevano indicato come uno dei posti più frequentati della città. Una volta entrati, ci è venuta la sensazione di non aver mai lasciato lo stadio, visto che al locale erano presenti buona parte degli addetti ai lavori che quotidianamente incontriamo sul campo, tra cui i due speaker e alcuni delegati della federazione internazionale. E’ stato un bene; così il vostro cronista, la cui propensione al ballo è equivalente a quella di un elefante, ha potuto trascorrere il tempo scambiando opinioni e pronostici sull’esito delle semifinali di oggi.
Ieri, ho fatto qualche commento positivo sui bus di Sherbrooke; oggi, dopo quello che mi è successo stamattina, ritiro tutto. Contando di arrivare un po’ prima del solito allo stadio, sono arrivato un po’ in anticipo alla fermata vicina all’università, sperando di fare in tempo a prendere il bus numero 89, il cui passaggio, avevo letto ieri, avviene alle 9.50. L’automezzo è arrivato in perfetto orario, ed ha iniziato quello che pensavo fosse il solito lungo percorso in direzione dello stadio; dopo circa 25 minuti, mi sono trovato
di nuovo all’università. Non avevo infatti notato che il percorso del bus in questione è una specie di otto, che ha come centro la nostra residenza; esattamente alle 10.15, che è l’orario di passaggio dell’autobus che ho preso nei giorni scorsi, l’autista ha rimesso in marcia il suo mezzo stavolta in direzione dello stadio. In pratica, potevo dormire mezzora in più…
Stamattina, tra l’altro, il conducente del mio bus era particolarmente loquace, visto che ogni volta che incrociava un collega bloccava il veicolo in mezzo alla strada, avvicinando il finestrino a quello dell’altro bus e intrattenendosi in conversazioni non proprio brevissime, che qualche volta contribuivano alla formazione di notevoli file di veicoli. Inoltre, il bus che mi ha portato oggi allo stadio doveva essere un modello diverso rispetto a quello dei giorni scorsi, visto che l’apertura delle porte non era automatica, ma un cartello indicava la necessità di muovere la mano nelle vicinanze del vetro, una volta che il conducente avesse sbloccato il meccanismo. Non vi dico quanto mi sono sentito ridicolo nel farlo
A proposito di cartoline…ho deciso di acquistare diverse copie di una che ha come soggetto una pista da sci completamente innevata; mi sembra che non sia troppo fuori luogo, visto che l’altra sera a Coaticook (il posto dove c’è il secondo stadio di questi mondiali), la temperatura non arrivava ai 10 gradi. Oggi, invece, il tempo è perfetto per giocare a baseball, e in più, mentre vi scrivo, allo stadio di Sherbrooke non c’è un posto libero, visto che i padroni di casa del Canada sono in campo contro Cuba; anche se è difficile crederlo, il pubblico non è tutto per la formazione casalinga, ma una buona metà della gente presente qua (oltre che di una nutrita comunità cubana, si tratta di giocatori, tecnici e accompagnatori provenienti da stati ‘terzi), sembra preferire i caraibici.
Stamattina, per la semifinale vinta dalla Cina Taipei contro gli Stati Uniti, sono tornati alla carica i simpatici e rumorosissimi tifosi asiatici, che hanno sostenuto instancabilmente la loro rappresentativa dall’inizio alla fine della partita; i giocatori, da parte loro, si sono esibiti in un balletto pre-gara che ha ricordato quello della nazionale neozelandese di rugby.
Al termine della partita, ho fatto un giro all’esterno dello stadio, dove c’è un gabbiotto che vende magliette e souvenir vari del torneo, comprese alcune foto che sono state scattate alle squadre in questi giorni. Ho visto quella che ha come protagonista la formazione italiana, e ho notato che alle spalle dei giocatori si è inserito un signore, la cui identità è ignota a tutti. Forse soltanto qualcuno in cerca di un po’ di notorietà
Oggi ho rivisto Maria, la corpulenta anziana signora di origine italiana che ci aveva accolto al nostro arrivo a Sherbrooke. Io e il team manager De Robbio l’abbiamo incontrata alla mensa, durante l’intervallo tra le due semifinali, e abbiamo accettato il suo gentilissimo invito di accompagnarci fino all’università; il viaggio è durato solo pochi minuti, ma è stato non meno terrificante di quello narrato da Kubrick in ‘2001 odissea nello spazio. L’auto della signora Maria, da lei stessa definita ‘non certo una Cadillac(e a ragione…), è una specie di carcassa probabilmente più anziana della padrona, che faceva dei rumori stranissimi, e ad ogni curva, grazie anche alla guida non proprio morbida della conducente, sembrava dovesse finire fuori strada. Vedendo i nostri sguardi un po’ terrorizzati, la signora ha cercato di tranquillizzarci dicendoci che nella sua vita aveva avuto solo un incidente (‘…però grave, perché quando faccio le cose le faccio bene…), ma ottenendo, ovviamente, l’effetto opposto. Per fortuna, dopo pochi minuti ho avuto la geniale intuizione di farmi lasciare nei pressi di un negozio di souvenir, dicendo che avevo bisogno di acquistare cartoline, e che sarei poi tornato in autobus allo stadio, rinunciando ad andare all’università. Il mio compagno di viaggio, invece, ha avuto il coraggio di farsi portare fino alla nostra residenza.
Comunque, ho fatto in tempo a notare che sulla targa posteriore dell’auto di Maria (qua quella anteriore non è obbligatoria), come su quelle di tutte le auto del Quebec, sotto il numero c’è scritto ‘Je me souviens (io mi ricordo), che mi è stato spiegato essere un po’ il motto della provincia. E’ proprio vero: se si viene a Sherbrooke (più nel male che nel bene), di certo non la si dimentica.
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