In sede di analisi dei mondiali juniores da poco terminati a Sherbrooke, una cosa, inequivocabile, è da tenere in mente. Contro le prime 8, o forse 9, squadre della classifica finale non c’era nulla da fare, era come se venissero da un pianeta diverso, per abilità tecnica e fisica; il fatto che le tre nazionali europee abbiano terminato la competizione agli ultimi 3 posti non è certo un caso, ma un ulteriore segnale del fatto che il divario tra il vecchio continente e gli altri, almeno per quanto riguarda il settore giovanile, è in crescita.
Per capire i motivi di ciò, credo sia impossibile non tirare fuori il solito, vecchio discorso statistico riferito al talento; su un ipotetico gruppo di 100 ragazzi dal notevole talento atletico, quanti in Italia o in Spagna sceglierebbero di provare a diventare buoni giocatori di baseball? Quanti invece sarebbero ‘rubati dal calcio? Non credo che la stessa differenza a livello di prestanza fisica (anche soltanto ‘visiva) tra le formazioni italiana e americana o cubana si riscontrerebbe se paragonassimo i membri delle nazionali di calcio under 21 dei due paesi.
Per motivi diversi, le cose non funzionano allo stesso modo nei paesi che troviamo alle prime 4 posizioni della classifica: gli Stati Uniti e il Canada hanno una popolazione così numerosa che riescono a ‘piazzare un notevole numero di talenti atletici in tutte le discipline sportive più praticate nel loro territorio, e nei caraibi il nostro gioco è lo sport più seguito e più praticato dai giovani. Il discorso è diverso per la Cina Taipei, nazione di dimensioni non particolarmente elevate, in cui la popolarità del baseball è in vertiginosa crescita; i nazionali di Taiwan non erano ragazzoni dal fisico imponente, ma controbilanciavano questa debolezza con un’ottima preparazione tecnica e con l’ordine in campo, tipico delle popolazioni asiatiche.
Per quanto riguarda la prestazione degli azzurri, le selezioni di Robb possono essere criticate, e sicuramente molti lo stanno già facendo, però quello che mi è parso, assistendo in prima persona alle partite, è che magari con una squadra diversa, più convinta dei propri mezzi, avremmo segnato qualche punto in più, e subito qualcuno in meno, ma molto difficilmente avremmo migliorato la posizione finale; troppo ampio il divario non solo nei confronti delle extraeuropee, ma anche dell’Olanda.
Non è giusto, secondo me, rapportare il rendimento della squadra a questi mondiali con quello agli europei dello scorso anno, visto che troppi elementi chiave di quella nazionale(i vari Mazzanti, Costantini)non erano presenti a Sherbrooke per motivi di età. Inoltre, Robb ha deciso di portare in Canada una squadra giovane, ‘proiettata al futuro, e un segnale positivo può essere il fatto che alcuni dei ragazzi che si sono comportati meglio in Canada hanno ancora almeno una stagione da disputare a livello juniores (mi riferisco soprattutto ai lanciatori Maestri e Modica e, per certi versi, a Santolupo).
La nota più dolente riscontrata a Sherbrooke, relativa alla prestazione della nazionale italiana, è il basso livello di costanza e di fiducia nei propri mezzi dei ragazzi, che invece di cercare di ridurre il chiaro divario atletico con l’impegno e la dedizione, troppo volte sono scesi sul campo già battuti, oppure sono usciti dalla partita dopo aver subito i primi punti. Se si dà un’occhiata ai tabellini delle gare degli azzurri, lo schema è sempre lo stesso: qualche punto subito nelle prime riprese, crollo nella fase centrale della gara, e mai un serio tentativo di rientrare in partita, a parte qualche piccola reazione nelle ultime riprese, quando però ormai anche gli avversari avevano abbassato la guardia. A ciò bisogna unire anche la tendenza a girare la mazza su troppi lanci chiaramente fuori dalla zona strike, quasi a voler terminare presto i turni alla battuta, altro segnale di una impazienza che unita alla poca convinzione nei propri mezzi ha portato le mazze azzurre ad una prestazione decisamente sotto tono.
Non sono facili da individuare i motivi che hanno portato i nostri ad assumere questo atteggiamento, a volte un po’ troppo ‘morbido e distaccato, e senza il quale, comunque, si sarebbe potuto rimanere più a lungo nelle gare, ma difficilmente vincere più di un’altra partita; forse, si tratta di impegnarsi di più per cambiare la mentalità con cui gli azzurrini si sono presentati a questi mondiali, in cui erano troppo convinti di non poter ottenere grandi risultati. Si tratta probabilmente anche di trovare il giusto compromesso tra un periodo di preparazione un po’ troppo denso, come quello di quest’anno (le 5 partite in 3 giorni alla Capital Cup di Ottawa hanno un po’ ‘svuotato i ragazzi) ed uno troppo scarso, come in occasione dei mondiali del 2000 ad Edmonton.
Di certo, non si può considerare positivo l’esito della spedizione canadese, e sentire qualche ragazzo dichiarare la sua soddisfazione per il risultato raggiunto non è che una conferma dei dubbi relativi alla mentalità con cui gli azzurrini sono scesi sul campo in Canada.
Guardando verso il futuro, dal punto di vista tecnico le cose non sono così grigie, anche se effettivamente in qualche posizione ci sarà bisogno di migliorare notevolmente; da parte di tutti, però, ci sarà bisogno di un diverso atteggiamento dal punto di vista mentale, se si vorranno evitare quanto meno le batoste rimediate contro squadre ‘storicamente alla portata degli azzurri, delle quali fa sicuramente parte l’Olanda.
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