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'Il mio biliardo' di Mordecai Richler

Mordecai Richler (1931-2001) e’ stato uno dei casi letterari degli ultimi anni.
Il suo “La versione di Barney” ha ottenuto in Italia, nel 2000, un grandissimo successo.
Il successo delle dissacranti confessioni di Barney Panofsky, una vera e propria antologia del “politicamente scorretto” e dell’anti buonismo (Giuliano Ferrara è, non a caso, uno dei più sfegatati fans italiani di Richle ) ha indotto Adelphi a pubblicare, nell’ estate dello scorso anno “Il mio biliardo”.
Il raffinato editore ha avuto, per nostra fortuna, il merito di avere capito che il coltissimo ed elegante scrittore canadese trovava nello sport una parte essenziale della sua ispirazione. Perché lo viveva con immensa passione. L’ ansia con la quale Barney Panofsky cerca di rimandare il suo matrimonio, malamente coincidente con un appuntamento importante della stagione dell’ hockey, non è un espediente letterario qualsiasi.
Solo un vero appassionato poteva descrivere tanto bene la sua stralunata festa di nozze, durante la quale lascia continuamente gli invitati per farsi commentare da un cameriere complice l’ andamento della gara. Alzi la mano chi non si è visto rovinare un evento sportivo a lungo atteso da un qualche improvvido accadimento mondano – familiare.
Richler è stato anche in effetti un apprezzato giornalista sportivo oltre che un grande appassionato: il che non emerge in quasi nessuna delle dotte discussioni che circolano in stampa ed in rete sulla sua opera.
Il Barney che inizia la lettura del quotidiano dalle pagine sportive è, chiaramente, lo stesso Richler.
Con buona pace di coloro che si hanno discettato sul se e sul come un intellettuale come lui potesse nutrire una tanto devastante passione per i bastoni da Hockey o per le mazze da baseball.
E’ proprio questo tema del rapporto fra sport e grande letteratura uno dei temi più intriganti de “Il mio biliardo”.
Le ultime venti pagine del libro dedicate alla passione degli autori nord americani per i temi dello sport, contrapposta alle spesso strampalate elucubrazioni degli intellettuali di questa riva dell’ atlantico, sono davvero imperdibili.
L’ umorismo spesso acido di Richler riconferma il vecchio dato, gli americani, scrittori o registi cinematografici, d’ avanguardia o meno, vivono lo sport come elemento essenziale della vita individuale e sociale.
Da noi si fa dell’ agonismo pretesto di poesia (spesso retorica), o di filosofia da quattro soldi. D’altronde, avete mai visto un regista del vecchio continente girare un film dignitoso sul calcio?
E non avete notato che gli scrittori italiani quando parlano di sport finiscono sempre per raccontarlo come sogno o mito del passato?
Questo è il principale motivo per cui proponiamo questo libro agli appassionati del baseball anche se il “batti e corri”appare comunque spesso, per altri motivi, nelle centottanta pagine del testo.
Con brevi ma indelebili flash: poche righe fulminee sparse qua e là come quelle che raccontano l’ ultima partita di Ted Williams (un personaggio che per il suo carattere scontroso ed anticonformista piace molto al nostro autore).
Richler non ha nessuna difficoltà a dichiararsi tradizionalista. Detesta l’invasione degli sponsor e della pubblicità nel mondo sportivo e non esita a tirare pesci in faccia a Joe di Maggio, reo di aver prestato la sua immagine per un qualche spot commerciale.
Non sopporta che nelle partite di Major il pitcher partente sia rilevato verso il sesto inning “da qualche mezza calza multimiliardaria”, dal momento che i grandi del passato, Sandy Koufax in testa, lanciavano per nove inning .
Il libro è comunque, lo dice il titolo, un viaggio divertente nel mondo di uno degli sport più diffusi nel mondo anglosassone, sport del quale, si dice, sia appassionata anche la Regina di Inghilterra. Un viaggio intervallato da digressioni autobiografiche, storiche e di costume : l’infanzia e la giovinezza nel quartiere ebraico di Montreal, l’antisemitismo, le donne nello sport , la liceità per gli atleti dell’ uso di droghe leggere, la boxe, la stampa scandalistica.
Un libro veramente divertente e intelligente, originale.
Prima di morire Richler ha curato una sua antologia di articoli sportivi, che va dal baseball al wrestling , al body building che non. è stata ancora tradotta in italiano . Chissà che Adelphi non ci voglia fare un altro regalo…….

butta

Nato nel 1953 all’ Isola d’ Elba, Marco Buttafuoco vive e lavora a Parma dal 1980, è sposato con Daniela e non ha figli. Laureato in lettere ha (ri)scoperto il piacere della scrittura negli ultimi anni. Collabora alla pagina sportiva de L’ Unità e scrive di musica (jazz e dintorni) sui periodici parmigiani “Il caffè del Teatro“ e “Dalla parte del torto”(di cui è anche redattore) Ama tutti generi di musica (non solo quella afroamericana), la letteratura (soprattutto statunitense), il nuoto non agonistico, il cinema, il calcio (anche se comincia a turarsi, di tanto in tanto,il naso). Nel baseball ha scoperto una quasi inesauribile fonte di miti e di storie bellissime.

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