Doveva essere il 1970. O forse il 1969, quando il mio amico Valerio convinse la compagnia ad andare a passare un sabato sera diverso. Valerio era collega di lavoro di Gianni Lercker, allora lanciatore della Montenegro. E fu così che, con Roberto che mazza e guanto li aveva conosciuti a scuola per merito del ‘professor Bucchi, a far da cicerone, ci ritrovammo ad assistere alla nostra prima Fortitudo-Nettuno.
Poi, in 30 anni, pian piano scopri che in pratica tutti i frequentatori del ‘Gianni Falchi hanno un loro motivo per vedere in questa sfida un qualcosa di particolare. Non importa cosa c’è o c’era scritto sulle casacche. Danesi, Glen Grant, Colombo o Montenegro, Biemme, Beca, Eurobuilding, Italeri: quella non è ‘una partita. A Bologna è ‘la partita.
Se è così sugli spalti, figuriamoci in campo. O per chi dal campo ne ha vissute tante, prima da giocatore e poi da allenatore, in 35 anni col cappellino in testa. Come ‘Toro Rinaldi.
Nettuno è una cosa particolare. Io sono cresciuto da ragazzino, quando giocavo con la pallina contro il muro, con il Nettuno in testa: i miei miti allora erano Faraone, Tagliaboschi, Macrì, Glorioso. Anche se poi in campo, e nei dintorni, la memoria quasi solo a risse, o qualcosa che a queste assomigliava molto. Fin dal debutto. La mia prima volta al ‘Borghese fu infatti con un calcio a gioco fermo da Caiazzo.
In qualunque partita col Nettuno c’era sempre qualcosa di imponderabile. Se penso a Nettuno penso a tante situazioni in cui succedeva di tutto pur di non farti vincere, agli arbitri sempre condizionati. Ricordo, appena tornato dagli Stati Uniti una mia espulsione agli extrainning per aver buttato la palla nell’erba, quando loro facevano di tutto per sporcare la pallina. Ricordo le trasferte con la Montenegro, quando non ti lasciavano dormire la notte in albergo. Il pubblico che entrava a forza negli spogliatoi, fin nelle docce. Però anche il rispetto se eri un buon giocatore. Quasi un amore odio.
I giocatori di Nettuno, se presi uno alla volta sono deliziosi: io capisco benissimo i loro tanti pregi. Ma se ne fai una squadra…
A Bologna ricorderò sempre una partita del 1974 o del 1975. Loro venivano da cinque sconfitte consecutive. Avevano Faraone e Laurenzi squalificati. Era una domenica pomeriggio. Monaco arrivò in prima calciando, e io gli dissi ‘ma quando imparerai a giocare. Ne venne fuori una zuffa, che si ripetè dopo l’espulsione, all’esterno sinistro, mentre lasciavamo il campo, col risultato di provocare una rissa generale, pubblico compreso. Monaco si beccò una squalifica pesantissima, secondo me superiore al dovuto. Così scrissi una lettera alla Federazione in cui ricostruivo i fatti com’erano veramente andati, contribuendo a fargli ridurre la punizione.
Il Nettuno, insomma, è il Nettuno. E in effetti mi sarebbe piaciuto allenarlo .
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