Allargare i confini per far decollare il baseball italiano

Adesso che il presidente Fraccari ci ha chiarito un po' le idee, il vero progetto IBL comincia a stuzzicare quasi tutti. Più che un progetto sembra una sfida, una grossa sfida lanciata al baseball italiano, un sasso gettato nello stagno di un mondo abituato da sempre al solito tran tran.

Se non avesse vinto lo scudetto San Marino, ci saremmo ritrovati con il titolo palleggiato sempre tra i soliti noti. Nessun altro sport di squadra, in Italia, aveva avuto così poche squadre campioni (cinque) negli ultimi trent'anni. Segno di poco ricambio, di una certa fossilizzazione, di uno sport che si chiude sempre più nelle proprie poche roccaforti. La A1 del prossimo anno, sotto questo aspetto, è emblematica: non ce ne voglia Reggio Emilia – che ha strameritato la sua promozione – ma con il suo approdo nel massimo campionato al posto di Redipuglia, il baseball si chiuderà sempre più in un ambito regionale (6 squadre su 8 in 200 chilometri, da Parma a San Marino) con le eccezioni di Nettuno e Grosseto, due città nobili del nostro sport, ma tuttavia di dimensione medio-piccola per il bacino d'utenza (40mila abitanti la prima, 80mila la seconda).
Ecco, la vera sfida del progetto IBL si inserirà proprio su questo lato debole del nostro baseball. Per tornare ad essere uno sport a dimensione nazionale, il campionato di vetrina dovrà per forza recuperare città e regioni che non sono riuscite, per vari motivi, a restare al passo con queste isole felici. Parliamo di Roma e Milano, Torino e Firenze, ma parliamo anche del Veneto, del Friuli, della Sicilia: il baseball italiano, il progetto IBL, ha bisogno di queste realtà, altrimenti non potrà mai decollare.

Certo è che in queste piazze lo spirito della franchigia dovrà funzionare diversamente da come si svilupperà presumibilmente a Grosseto o a Bologna. Lì si parte da grandi realtà esistenti, già in grado di far fronte anche agli impegni economici previsti dal business plan della IBL e che anzi diventeranno ancora più ricche con il contributo della Major League.

Nelle franchigie che partono praticamente da zero, invece, la vera sfida sarà la capacità di aggregazione: in quelle città, in quelle regioni, non c'è attualmente una società in grado di sobbarcarsi l'impegno principale e quindi servirà il concorso di tutti per trovare la soluzione vincente, la forza economica e organizzativa per fare veramente squadra, ovvero franchigia.

Certo, bisognerà cambiare il modo di ragionare. Ma d'altra parte, una volta trovato il modo di ridistribuire equamente la partecipazione e i benefici dell'avventura , potrebbe essere anche il modo migliore per spendere i soldi, evitando di disperderli in tante piccole, costose e inutili imprese quali sono le attuali squadre di A2 o di B. Mettersi assieme per un unico grosso obbiettivo, dedicando il resto delle forze periferiche alla produzione di giocatori italiani, non al riciclaggio di oriundi brocchi per fare classifica.

Elia Pagnoni

Nato a Milano nel 1959, Elia Pagnoni ricopre attualmente il ruolo di vice capo redattore dello sport al quotidiano "Il Giornale", dove lavora sin dal 1986. E' stato autore di due libri sulla storia del baseball milanese.

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