Più venezuelani che "paisà", ma l'Italia ci prova

TORONTO – Non c'è la fila di mezzogiorno per entrare e si vede solo qualche tricolore italiano in un tripudio di bandiere venezuelane. All'esterno del Roger Centre prima della seconda sfida della giornata della Pool C del World baseball classic si capisce subito che l'attesa non è – e non può essere – la stessa di Usa-Canada.
Dentro la preparazione è la stessa, arrivano i venezuelani, quindi gli azzurri, si comincia il batting practice dopo che la "squadra" di addetti al campo in pochi minuti ha sistemato tutto. Quando è l'ora dell'Italia il manager Marco Mazzieri e Mike Piazza si sistemano dietro alla gabbia di battuta, con l'ex major addirittura fotografo d'eccezione con il cellulare per Valentino Pascucci. L'attenzione dei media è per i "soliti" big leaguers che giocano con l'Italia, ma c'è anche un collega sorpreso: "Per me una squadra italiana di baseball a questi livelli, con giornalisti che vengono a seguirla, è come vivere un sogno". Si chiama Jeremy Filosa, lavora per una radio di Montreal che da quando sono scomparsi gli Expos va a raccontare il baseball in giro per il Canada e gli Stati Uniti. "I miei genitori sono italiani, mamma è emigrata 50 anni fa, papà 35, io sono nato a Montreal ma mi sento ancora italiano, tutti parliamo la nostra lingua, mentre qui a Toronto no". Torna spesso in Italia, a Spigno Saturnia, piccolo centro in provincia di Latina.
Sono pochi i "paisà" sugli spalti rispetto ai venezuelani ma basta che passi una telecamera o che in campo si affacci Andrea Bargnani, il giocatore del basket stella dei Raptors di Toronto che spuntano bandiere tricolori. Quando è l'ora di schierare le squadre lungo le linee di foul sono Piazza, Catalanotto e Pascucci i più applauditi. I nostri non cantano l'inno, i venezuelani sì. Si fanno sentire eccome, però a decidere sarà il campo. E' tempo di giocare, sarà anche una missione impossibile ma hai visto mai che Davide contro Golia…

Gianni 23

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