E’ un ritornello che ormai è nella testa di tutti. In questi giorni, come nel settembre del 2009, l’anno della finale mondiale vinta dagli USA. Nettuno è “La città del baseball”. Perché qui è nato tutto. Qui dopo la seconda guerra mondiale, quei marines che vennero a liberare l’Italia, ad un certo punto tirarono fuori guantoni, mazze ed una pallina bianca cucita di rosso ed iniziarono a giocare ad un gioco meraviglioso. Qui dove quando sei bambino è più facile che ti regalano un guantone che una pallone da calcio. Qui dove ognuno di noi porta dentro l’orgoglio di essere cittadino di Nettuno, una città, una squadra che si è riempita di gloria grazie alle gesta dei suoi campioni di sempre. Capaci di portare sulle rive del Tirreno ben 17 scudetti, 6 titoli europei e tanto lustro, tanto onore.
La storia è lì. Nessuno può metterla in discussione. La storia dice che una squadra fatta di nettunesi dominava su tutti, era il Nettuno degli anni 50, il Nettuno del Torneo D’Oro, il Nettuno degli anni '60. Quegli uomini, quei nettunesi, hanno costruito questa fantastica ed unica storia di sport e di cultura di una città. Radicandola in ognuno di noi. Facendola diventare parte fondamentale del nostro bagaglio culturale e della città. Sono in pochi a non sapere chi è Enzo Masci, chi è Tonino Marcucci, Caranzetti e Tagliaboschi, chi sono i fratelli Lauri o Giampiero Faraone. Potrei andare avanti per molto citandoli tutti i nostri campioni del passato.
Da quegli anni dei pionieri, per arrivare agli anni '70 e '80. Anni in cui non si vinceva, ma che sono nella nostra memoria per giocatori come Bruno Laurenzi come Stefano Bernicchia, come Ettore Morellini come Giorgio Costantini e Paolo Catanzani ed anche qui potrei scrivere tante righe per ricordarli tutti. Poi quelli degli anni '90, di quel Nettuno che è ricordato da tutti come una squadra che dominava, vinse 4 scudetti, ma la concorrenza era tanta ed agguerrita. Quella era una squadra di nettunesi. Anche quella piena di grandi campioni. Trinci, Taglienti, D’Auria, Bagialemani, Masin e tutti gli altri. Tutti figli di questa città, tutti campioni che sono nella memoria della gente, che ti vengono in mente quando risuona quel ritornello…Nettuno, “La città del baseball”. Con loro ricordi anche personaggi come Lenny Randle, Steve Rum, Russell Laribee, Ed Oliveros, Clemente Sanders fino ad arrivare a Bob Galasso, Jeffrey Ransom e Jesse Reid.
Loro fanno parte a pieno titolo di quella storia, con una cosa che li accomuna tutti e li rende così protagonisti di quella storia. Loro erano stranieri che in poco tempo diventavano “nettunesi” come noi. Arrivavano in un gruppo che ben presto gli faceva capire cosa significava giocare a Nettuno. Alcuni di loro, come Russell Laribee, hanno i loro figli nati a Nettuno. Hanno quel legame con la nostra città che è nato e si è rafforzato vivendo nel “gruppo nettunese” delle squadre di cui facevano parte. Poi inesorabili sono arrivati gli anni 2000.
Quasi come a tagliare di netto quel filo della storia che ha tenuto ben stretti tutti quegli anni. Certo c’è stato lo scudetto del 2001. Ma non fa la differenza uno scudetto vinto in più. Molti di quei campioni citati prima non hanno vinto nulla con la gloriosa casacca dl Nettuno, eppure nella storia ci sono. Eppure quel ritornello… ”Nettuno, La città del baseball”, ci sono anche loro. E’ un fatto di uomini, di circostanze, di momenti, mettiamola come vogliamo, ma ci viene difficile accostare l’ultimo decennio del baseball nettunese alla storia precedente. Sarà forse perché non è più esistito quel “gruppo di nettunesi” che erano l’ossatura delle squadre? Sicuramente si. Sarà che i tanti “stranieri” che sono arrivati, e quanti ne abbiamo visti che paragonati a quelli del passato ci sarebbe da rabbrividire, non sono mai diventati nettunesi come noi? Sicuramente si. Sarà che quando uno buono è arrivato, Carlos Duran ad esempio, è stato con troppa superficialità mandato via? Sicuramente si.
Eppure il nettunese appassionato, che ama la squadra della sua città non è cambiato. L’esodo a Grosseto nelle finale del 2007, lo Steno Borghese tutto esaurito in gara-7 contro il San Marino nel 2008 ne sono la prova. E’ quell’appassionato che domani riempirà ancora una volta lo Steno Borghese per l’All Star Game, riaffermando e mostrando a tutti che quel ritornello è sempre valido. Ora sono loro, i nettunesi ad alimentare quella storia a scrivere altre pagine da raccontare, come il colpo d’occhio dello stadio nella finale Mondiale del 2009. Ma quella gente vuole la sua squadra, vuole che la sua città torni a vincere anche sul diamante, vuole riempire lo Steno Borghese per la sua squadra. La strada per farlo? Semplice, quella che detta la storia. Una squadra che sia di un “gruppo di nettunesi”, che accolgano e facciano diventare nettunesi tutti gli altri, che trasmettano a chi arriva da oltreoceano e facciano capire cosa significhi giocare con la casacca del Nettuno.
Allora da questa All Star Game si deve ripartire, per continuare a scrivere pagine di quella storia, il motivo? Uno e semplice, domani in campo ci saranno tanti giovani nettunesi, Mirco Caradonna, Ennio Retrosi, Paolino Ambrosino, Renato Imperiali e con loro il capitano Peppe Mazzanti con la maglia azzurra. Non è forse questo un segnale? Si, e da prendere al volo. La gente c’è, con la sua passione e l’amore per questo sport, ora non resta che riprendere quel filo interrotto con la storia e fare in modo che questi ragazzi, giovani e nettunesi, possano un giorno farci scrivere su un foglio bianco… ”C’era una volta una squadra fatta di grandi campioni… dai primi pionieri, agli uomini d’oro degli anni '50 e '60… fino agli anni 2000… da Marcucci, Tagliaboschi a Trinci, Bagialemani… a Mazzanti, Imperiali, Caradonna e Retrosi”. Se questa è la Città del Baseball, presto accadrà.
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