Bagialemani: "Adesso vi spiego il perché…"

Qualche giorno è passato. Un po' di acqua sotto i ponti per smaltire delusione, emozioni e anche recriminazioni di una finale scudetto persa ancora una volta a garasette. Sicuramente Ruggero Bagialemani sotto questo punto di vista ha un bel credito con la fortuna. Così, quando lo incontriamo in Piazza Mazzini a Nettuno, in una pigra mattinata di un sabato fine estate, i nervi sono distesi e si può parlare con più calma delle finali perse. E anche delle scelte fatte.

"Sono deluso sicuramente, e sarà una cosa che durerà sino all'inizio del campionato 2012. Più che altro mi è dispiaciuto non poter giocare alla pari. C'è stato l'infortunio a Wilson e quello Cruz. Il primo aveva un'infiammazione al braccio, il secondo non è stato disponibile per tutti i play off. Metteteci pure la squalifica per doping di Rosario, l'espulsione di Richetti ed il quadro delle cose che ci sono mancate è completo".

A proposito della squalifica di Richetti… "Al di là dell'ingenuità imperdonabile del giocatore, la cosa che mi ha fatto arrabbiare è che comunque io lo avevo già sostituito, è partito l'arbitro Filippi dalla seconda base ad espellerlo. Secondo me in questi casi ci vuole anche il buon senso e capire che comunque ci si stanno giocando le finali e la tensione è alta".

E' il momento allora di andare a ripercorrere le ultime due partite, e le scelte fatte dalla panchina. Partiamo allora da garasei e dalla gestione dei lanciatori. "Il ragionamento che ho fatto, stante le indisponibilità, era che Masin rappresentava l'unica certezza che avevo e dunque il mio compito era quello di cercare di addormentare il più possibile la partita, per dare poi la palla proprio a Masin. Chi lo doveva precedere sul monte avrebbe dovuto reggere per tre o quattro riprese. Quando poi è entrato, infatti, la partita è rimasta sul 5 a 2 sino all'ottavo". Ha destato perplessità la scelta di far salire prima Modica e poi Pizziconi, che in stagione si erano visti poco e niente. Soprattutto, molto giovani di fronte ad una situazione caldissima. "La qualità dei giocatori la conosco io, e so chi metto in campo. Loro dovevano semplicemente chiudere l'inning, perché era intenzione mia schierare Masin da partente, ad inizio dell'inning con zero fuori e nessun uomo in base. Purtroppo la partita si è messa male anche per via di una palla da doppio gioco che invece è passata".

Passiamo allora a garasette. Al secondo inning c'è stato il colto rubando di Renato Imperiali. Sarebbe equivalso ad un eliminato in meno, seguendo lo sviluppo della ripresa anche ad almeno un punto in più in una situazione di corridori sulle basi, e la partita poteva prendere una piega diversa. "Non era un segnale di batti e corri, era proprio un segnale di rubata. E' andata male, ma d'altro canto quando giochi aggressivo ricevi elogi se le cose vanno bene, ma se non filano per il verso giusto ti becchi le critiche. In fondo l'eliminazione in base è il rischio che si corre". E sui lanciatori? "Leal era il più in forma e quello che mi dava le maggiori garanzie. La rotazione poi prevedeva Escalona, ma è saltato tutto. La verità è che sapevamo di non avere chance, quello che è successo tra la quinta e la sesta partita ci ha tolto la nostra convinzione, dovevamo tenerli a zero il più possibile ma così non è andata".

Per fortuna è arrivata la Coppa Italia, "vinta con tutti italiani in campo contro quattro stranieri Asi. E abbiamo visto quanto affetto c'è intorno alla squadra. Per me alla fine personalmente è stata una vittoria molto importante. Ero andato via che sembravo il capro espiatorio, da ex bandiera della squadra ed in un momento di disagio della mia vita. Quando sono tornato ho ripreso a lavorare da dove avevo lasciato le cose, pensando che adesso la gente è anche tornata allo stadio ad incitare la squadra".

A proposito, una squadra giovanissima… "Bisogna dare atto ai responsabili del settore giovanile e ai loro tecnici che hanno creato tutto questo ben di Dio al quale attingere che hanno svolto un lavoro eccellente. Ma non dimentichiamoci che sino a che si rimane nelle giovanili si è dei prospetti, quando si va in prima squadra che si diventa veri giocatori. Per come la vedo io la squadra è impostata e può andare avanti per anni, ma giù le mani dai ragazzi. E mi riferisco a chi telefona e promette mari e monti".

Certo, se ci fossero regole diverse… "Questo dipende da cosa vuol fare la Fibs. Secondo me uno è Asi se arriva in Italia prima dei 18 anni, dopo non ha molto senso chiamarli in questo modo. Qualcuno dice che con queste regole non ci sono più lanciatori italiani. Non è vero, ci sono e per quello che riguarda il Nettuno sono pronti, bisogna avere la possibilità di rischiarli. Forse con un campionato più lungo, o sicuramente con regole diverse…".

La chiacchierata di fatto finisce qui. Due battute scherzose sulla sua amatissima Lazio, o meglio su come Klose e Cissé potrebbero dar manforte al Nettuno Baseball, ed ecco per strada ecco Eddy Oliveros, indimenticato campione del 1980 e 1981, a Nettuno per una breve vacanza con la moglie. "C'è tempo adesso per smaltire la delusione". Forse arriverà anche il titolo di miglior allenatore dell'anno. Chissà… Anche se con tre finali perse a garasette, se vi dice che gli interessa poco dell'Award forse c'è da credergli. D'altro canto è fatto così. Basta rileggere le sue dichiarazioni, forti, dopo i casi di doping nel Nettuno e capire come non sia mai banale. Solo chi lo conosce per sentito dire vede questa cosa come un difetto…

 

Mauro Cugola

Nato tre giorni prima del Natale del 1975, Mauro è laureato in Economia alla "Sapienza" di Roma, ma si fa chiamare "dottore" solo da chi gli sta realmente antipatico... Oltre a una lunga carriera giornalistica a livello locale e nazionale iniziata nel 1993, è anche un appassionato di sport "minori" come il rugby (ha giocato per tanti anni in serie C), lo slow pitch che pratica quando il tempo glielo permette, la corsa e il ciclismo. Cosa pensa del baseball ? "È una magica verità cosmica", come diceva Susan Sarandon, "ma con gli occhiali secondo me si arbitra male". La prima partita l'ha vista a quattro mesi di vita dalla carrozzina al vecchio stadio di Nettuno. Era la primavera del '76. E' cresciuto praticamente dentro il vecchio "Comunale" e, come ogni nettunese vero, il baseball ce l'ha nel sangue.

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