Metti una sera al cinema… Pop corn, una poltrona comoda, una bibita in un bicchierone che per metà è riempito di ghiaccio e la difficoltà di spiegare a degli amici completamente ignari cosa è e perché si parla tanto di “Obp”. On base percentage… Era talmente atteso questo 27 del mese di gennaio che proprio al primo giorno di programmazione si è riusciti nell'impresa di andare al cinema a vedere Moneyball-L'arte di Vincere. Complice una sala della capitale e tre volontari (paganti).
La storia la si conosce. Brad Pitt (belloccio anche con due-tre rughe sparse, hanno commentato all’unisono le donne presenti…) interpreta Billy Bean, che alle prese con poco budget e tanti problemi, per rimettere in carreggiata gli Oakland A’s depredati dei giocatori migliori si affida al metodo di lettura delle statistiche ideato da Peter Brand (un convincentissimo Jonah Hill, la vera sorpresa del film), sulla base degli studi di Bill James, quello della Sabermetrica, per intendersi. Insieme e dopo qualche perplessità, e qualche taglio, gli A’s inanellano una striscia vincente record di 20 partite e arrivano ai play off. Senza spuntarla. Ma, in qualche modo, rivoluzionando in qualche modo il mondo del baseball.
La storia è vera, ed il film è tratto dal fortunatissimo libro di Michael Lewis, e l’esser riusciti a romanzare un po’ la trama risulta essere il grande merito del regista Bennet Miller. Se non altro infatti si vivacizza in qualche modo un incedere lento (oltre due ore) e scandito dagli eventi di quella stagione di baseball. Non aspettatevi dunque un ritmo forsennato, a parte qualche accelerata, né grandi colpi di scena. Qualche toccata ironica, molto mestiere e, per la gioia delle signore, Pitt in più di qualche scena sorpreso in palestra a svolgere esercizi. Un buon film, comunque, come spesso quelli basati sullo sport riescono ad essere, ma apprezzato di certo da chi mastica baseball, anche per le belle immagini di gioco e per come è stato ricreato l’ambiente della Major League e di una squadra di secondo piano. Rispetto al libro, si salta quasi per intero la parte del draft degli “amateurs” mentre ci si focalizza molto sulla carriera da giocatore fallita di Beane. Al di là delle attinenze, però, se vi capiterà spiegate bene a chi poco ne sa qualche rudimento di baseball, e soprattutto perché le statistiche sono così capillari e tenute in grandissima considerazione. Sicuramente riuscirà a seguire meglio la trama.
E poi… Beh, su Moneyball e sulle statistiche cosiddette secondarie si potrebbe scatenare una guerra santa. Il grande merito del film (che non riscrive nessuna storia, la racconta solamente) è il rimarcare come nel baseball quel poco che è stato inventato con Moneyball ha tracciato una piccola linea. La saggezza di Beane è intuire che una squadra con un payroll di 30 milioni di dollari non può competere con una da 130 milioni giocando lo stesso gioco. Perderebbe in partenza. Allora qui che scatta la battaglia all’unfair game, Davide contro Golia e via dicendo. "Non dobbiamo comprare giocatori, dobbiamo comprare vittorie", si dice nel film (non alludendo alle scommesse, beninteso…). E’ la trasposizione della legge dei grandi numeri che ogni tanto viene chiamata in causa nel calcio. Nel lungo periodo una squadra formata da elementi che sono in grado di produrre tot punti, tot valide e tot fuoricampo concedendo al contempo agli avversari tot punti, sarà in grado di ottenere quel risultato per il quale è stata costruita. Sempre se tutto va bene…
Poi però, e il film lo sottolinea, servono altre due cose. La prima è la cosiddetta “chemistry”. Teoricamente perfetta a livello statistico-sabermetrico, e con una condotta di gara rivolta a massimizzare i punti minimizzando i rischi di eliminazione (niente bunt, niente rubate, tante basi prese…), la squadra “esplode” nel suo potenziale quando vengono tagliati senza troppi fronzoli i giocatori che ne minavano l’equilibrio. Dunque statistiche sì, ma anche gruppo e compattezza. E poi c’è il singolo exploit. Buona sul lungo periodo, la teoria di Moneyball ha poco senso nella singola partita. Nei play off conta molto spesso anche la grande giocata in un momento decisivo, e gli elementi di impatto che possono farla sono anche quelli che hanno stipendi da milioni di dollari. La differenza nel singolo episodio la fa la qualità, e non a caso gli A’s sono stati sempre eliminati nella postseason.
Dunque servono tutte e tre le componenti per fare una squadra vincente. Solidità, chemistry e anche la singola giocata, certo, ma non solo quella, altrimenti i salari e il blasone dei giocatori degli Yankees da soli basterebbero per vincere… Questa è la lezione di Moneyball, ripresa dai Red Sox (a proposito, splendido il dialogo ricostruito tra Bean e Lucchino nella tribuna stampa del Fenway Park). Incassando il rifiuto di Bean ad una proposta di ingaggio di 12,5 milioni proposti ne sposarono però la filosofia, con più budget da spendere rispetto agli A's, vincendo dopo 86 anni il titolo. Per questo che il baseball è ancora misterioso e bellissimo. E per questo che, citando l’ultima battuta del film “come si fa a non essere sentimentali col baseball”, guarderete impietositi gli altri spettatori del cinema, che avranno apprezzato il film capendone sì e no il dieci per cento della storia. Ritenetevi fortunati, dunque…
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