Donald Catozza se lo ricordano veramente in pochi. E' stata una meteora mancina che nel giro di dieci presenze alla battuta (in cui non raccolse nulla) esaurì la sua esperienza alla Fortitudo Bologna del 1984. Proprio a Nettuno, però, in quegli anni '80 prodighi di talenti un giovane prospetto per un motivo o per l'altro fu accostato a quel giocatore, in maniera perlomeno goliardica. Il giorno dopo la partita contro il Bologna, al vecchio campo di Santa Barbara chi aveva visto la partita non poteva fare a meno di dirgli "Batti come lui", "Sembri proprio lui", e così Massimiliano Masin venne soprannominato "Catozza". Pochi avrebbero immaginato che sarebbe diventato uno dei simboli del Nettuno.
Rieccoci ai giorni nostri. Prima settimana di lavoro per la Danesi Nettuno, nel giro di mezz'ora sono tutti in campo. Così anche Masin, pronto alla sua venticinquesima stagione nella massima serie. Avete letto bene, 25. Dopo qualche esercizio blando di atletica, ecco osservare attentamente e curare il movimento sulla pedana del giovane Valerio Simone, un prospetto che ha perso tutto lo scorso campionato a causa di un grave infortunio. C'è da coordinare l'appoggio del piede prima del momento del rilascio con le movenze del braccio. Dettagli, sembrano dettagli, ma… "sono quelle piccole cose che fanno la differenza. Se si insegna subito il movimento giusto da piccoli si evitano tanti problemi dopo". Parole sante, anche pensando che è entrato nello staff dell'Academy of Baseball invernale e proprio con i giovanissimi sta svolgendo un ottimo lavoro.
Dall'88 che sei in campo. All'epoca non indossavi nemmeno il numero attuale…
Vero, portavo l'1. Me lo diede Giampiero Faraone un pomeriggio quando ci stavano allenando. Interruppe la seduta per distribuire le divise. Le teneva nel baule della macchina, quella mitica Ford verde, e quando mi chiese che numero volessi gli risposi che non aveva molta importanza. Poi mi diede l'1, chiedendomi se volessi diventarlo veramente, un numero uno… Poi nel 1993 lo diedi a Igor Schiavetti per passare al 12.
Riassumere i successi della carriera è facile. Basta vedere l'albo d'oro del Nettuno dal 1988 in poi. E con la nazionale?
Le soddisfazioni più belle sono state le due Olimpiadi… e mezzo.
Perché "mezzo"?
La mia più bella partita con la maglia azzurra fu senza ombra di dubbio la finale dell'Europeo del '97, quella nella quale rimasi nove riprese sul monte effettuando 104 lanci, se non ricordo male, conquistando la vittoria con una squadra che era composta esclusivamente da italiani. Mi dissero che alle Olimpiadi di Sidney avrei avuto il posto garantito, invece alla fine mi fecero fuori dal roster. E fu una grande delusione.
La domanda che ci si pone è, dopo tanti anni in campo, cosa ti spinge ancora a giocare?
Sicuramente c'è grande passione. E' da quando sono bambino che gioco, a settembre compio 44 anni e l'idea è quella di tornare a vincere uno scudetto e poi smettere col baseball giocato.
Quest'anno ci sei andato vicinissimo, tra l'altro con una stagione da protagonista.
Forse hanno perso apposta per non farmi ritirare (ride).
Quale sono state le partite più belle e più brutte che ricordi?
Ce ne sono state tante. Forse quelle due partite a Parma attaccate, giocai al pomeriggio e subito la sera. La più brutta forse fu quella volta in Coppa dei Campioni in Olanda, quando potevamo permetterci di perdere di otto punti per qualificarci alle semifinali ed invece perdemmo di dieci. Oltre ovviamente a garasette del '99…
E di tutti gli scudetti ed i trofei vinti?
Quello del 1990 è un ricordo indelebile. Nell'88 già ci andammo vicini, ma si era creato quel gruppo che poi vinse tutto negli anni successivi. Lo aspettavamo da tanti anni, e anche la festa a Nettuno fu qualcosa di incredibile, con tutta la città che ci aspettò sveglia di notte al ritorno da Rimini…
…e tu che facesti il bagno nella fontana del Dio Nettuno. Ma sino a quando pensi di giocare, realmente…
Io voglio restare sino a quando posso essere utile alla squadra e posso dare un contributo concreto. Come è avvenuto lo scorso anno. Ogni stagione capita anche di essere messi in discussione con l'arrivo degli stranieri, a me e ad altri giocatori di Nettuno. . Succede sempre così, poi alla fine è sempre il campo che dà il responso. Sono almeno dieci anni che va avanti questa storia. Il tutto fermo restando che la vittoria di un altro scudetto sarebbe il coronamento della mia carriera e mi convincerebbe a quel punto ad appendere il guantone al chiodo. Come ha fatto ad esempio Marco Ubani…
Osservando il tuo modo di lanciare e di stare sul monte, c'è quel particolare movimento di pick off che ha mietuto tantissime vittime. Come lo hai perfezionato?
Sicuramente con il lavoro, sfruttando il fatto che sono mancino e sino all'ultimo posso evitare di far capire al corridore in prima dove sto lanciando. Venni anche accusato di commettere balk, ma la risposta più sensata me la diede un arbitro di prima base alle Olimpiadi di Atlanta. Era nel nostro stesso albergo dopo la partita, e riconoscendomi in ascensore mi disse che il fatto che non avesse visto "aria" tra le gambe durante il caricamento era il segno che le movenze erano e sono tuttora corrette.
Ma in tutti questi anni cosa è cambiato nel baseball italiano?
L'avvento del legno è stato per noi lanciatori un cambiamento non da poco. Meno potenza, ma anche più possibilità di texas dietro gli interni. Anche se alla fine chi sa girare bene il bastone lo fa comunque bene, ma ci si confronta adesso con un baseball più reale rispetto a prima.
Ultima domanda. In tutti questi anni non ti sei mai montato la testa, nonostante i successi hai sempre mantenuto un basso profilo e tanta umiltà. Da cosa deriva questo?
Credo dal carattere che ho. I miei genitori mi hanno sempre insegnato la cultura del lavoro. Gioco sempre per la squadra e non solo per me stesso. Questo mi spinge a venire qui dopo venticinque anni ad allenarmi ancora giorno dopo giorno.
Senza mai saltare un allenamento, almeno a memoria nostra…
A parte quando mi sono infortunato, sempre ad allenarmi. Al mare ci vado semmai la domenica.
E sicuramente è proprio così. Negli anni però, questo lo aggiungiamo noi, Masin si è fatto più "filosofico". Dopo quasi venti stagioni di interviste ce ne siamo accorti, colloqui conditi da parole mai banali. Ci lasciamo con un sorriso, così come lo scorso settembre dopo la vittoria della Coppa Italia pensammo che fosse finita la sua avventura e lo abbracciammo dicendogli "grazie". Dopo qualche settimana capimmo che invece c'è ancora da aspettare prima di fissare il chiodo ed appenderci il guanto. Rieccoci qua, allora, come ogni inverno da quel lontano 1988…
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