"La svolta di Fraccari per il 2008: Progetto franchigie. Pro nelle grandi città e poi tanti satelliti. Squadre a Milano, Torino, Triveneto e Sicilia. E niente più retrocessioni". Non è fantabaseball, è solo un articolo della Gazzetta dello Sport del 13 aprile 2006, a valle della presentazione della stagione, firmato da un collega serio e attendibile come Stefano Arcobelli, non certamente da un visionario o da uno che potesse fraintendere le parole. Tutto vero, purtroppo. Non perché quei propositi non fossero apprezzabili, ma perché di tutto quello che era stato annunciato si è verificata una sola cosa: la fine delle retrocessioni. E forse sarebbe stato così anche senza annuncio, perché ormai trovare qualcuno che abbia il coraggio di avventurarsi nel campionato di IBL1 è una vera impresa.
Oggi dunque si ricomincia, la IBL1 – ovvero la vecchia serie A1 riverniciata solo nel nome – riparte con una classica d'altri tempi, Parma-Bologna, una di quelle partite che una volta avrebbero riempito gli stadi anche senza bisogno dei playoff, e che invece stasera vedrà i soliti quattro gatti in tribuna. Storie di un baseball che cambia e che non mantiene le promesse. Ci eravamo illusi che la svolta delle franchigie potesse veramente rilanciare il nostro sport, ci siamo ritrovati con un campionato ancora più povero e più invisibile di prima. Le solite otto squadre, le solite cinque sorelle infilate sulla via Emilia e dintorni, le solite isole felici di Nettuno e Grosseto (quest'ultima nemmeno più tanto felice, visti i travagli dell'inverno), la piccola e coraggiosa Novara che consente almeno di non far scendere il campionato a sette squadre. Un campionato che parte oggi e finisce a metà luglio per il 50 per cento delle squadre, una stagione strozzata in tre mesi e mezzo: forse nemmeno il campionato di rubamazzetto dura così poco. Uno sport in cui si parla per 8 mesi e si gioca per 14 settimane. Nel panorama italiano non ne esistono di uguali.
Eppure sembra che siano tutti contenti: dal Consiglio federale ai presidenti dei club. Non c'è nessuno che si interroghi sul senso di questo torneo, su spese ingenti che non hanno alcun ritorno, su investimenti mirati a un'attività così irrilevante. E quest'anno la IBL1 sarà ancor più invisibile perché per tutto il girone d'andata non ci sarà nemmeno una diretta televisiva. Si dice che non ci siano i soldi per la produzione delle partite, la FIBS deve tirare la cinghia perché il Coni ha tagliato i viveri a tutti, ma le società piuttosto che prendere un oriundo o un comunitario in meno e investire sulla promozione televisiva, preferiscono farne a meno. D'altra parte ci risulta che qualche società avrebbe persino chiesto esplicitamente di non apparire mai in televisione, pur di risparmiarsi le spese dell'anticipo del giovedì. E' stata accontentata in pieno. E la chiamano Italian Baseball League, il campionato di vetrina, quello che dovrebbe portare interesse, pubblico e investimenti…
Non ci sono soldi, però non ci sono nemmeno idee, non c'è voglia di collaborazione, di mettersi attorno a un tavolo. Quante volte pensate che si siano incontrati i presidenti di queste otto squadre durante un anno intero? Quante volte avranno parlato del loro campionato, avranno pianificato il futuro, avranno messo delle proposte attorno a un tavolo? E la chiamano "League"…
Non ci sono soldi, ma si riempiono di stranieri, oriundi, comunitari, gente che arriva da oltre oceano. Dicono che costano meno degli italiani e forse è persino vero, ma solo perché un giocatore italiano per stare in ballo dal giovedì al sabato vuole giustamente essere rimborsato delle ore perse sul lavoro, mentre sul mercato latinoamericano si può pescare gente a bassissimo prezzo. Si continua ad insistere con quell'inutile (se non dannoso) doppio incontro del sabato, con la partita pomeridiana che porta al massimo trenta o quaranta spettatori. Quest'anno – con l'abolizione dell'anticipo televisivo – se ne giocheranno ancora di più, ma non si vuole giocare la domenica pomeriggio che forse è il momento migliore per portare allo stadio le famiglie e i ragazzini. E questo è un altro mistero del nostro baseball.
Si dice che non si può allargare il campionato perché non ci sono squadre in grado di affrontare lo sforzo economico della IBL1. Vero, ma non si fa nemmeno un passo per venire incontro alle esigenze di chi è fuori dal giro. Infatti si continuano a giocare tre incontri settimanali, come se in Italia ci fosse una richiesta così alta di baseball, salvo poi disperdere del tutto un pubblico già ridotto. Si dice che bisogna giocare tre partite per garantire un livello tecnico elevato, come se l'Italia fosse piena di buongustai dello "squeeze" e della doppia rubata, di fini palati capaci di capire la differenza tra un giocatore di singolo e di doppio A. Salvo poi annunciare che la nazionale "utilizzerà i migliori, come fa l'Olanda con gli antillani": ovvero pescherà a piene mani tra gli italiani d'America, come è giusto che sia in un mondo dello sport in cui le nazionali ormai sono tali più di nome che di fatto. Ma allora che bisogno c'è di costringere le società al triplo incontro settimanale? Magari, giocandone solo due, qualcun altro potrebbe tentare di affacciarsi (o riaffacciarsi) al massimo livello. Senza svenarsi e senza sfigurare. Ma – e qui arriva il massimo – in tal caso la stagione si allungherebbe, i presidenti sarebbero costretti a pagare i loro stranieri e oriundi per uno o due mesi in più, e quindi meglio un campionato concentratissimo con paghe mensili ridotte all'osso e avanti così.
Problemi della massima serie? Sì, ma non è che le altre stiano meglio: anche quest'anno la serie A federale, la vecchia A2, sarà zoppa, con un girone da 10 squadre e uno da 9. Per non parlare della B, quella più in sofferenza, quella che ha perso più squadre e in cui la crisi è evidentissima: qui i gironi sono due da nove e uno da otto. Una situazione che mette i brividi, un altro segno di incoraggiamento a rivedere tutto, a fare un bel passo indietro.
Tornando al punto di partenza, però, a quell'articolo della Gazzetta di sei anni fa, le franchigie erano annunciate non come club, ma come selezioni regionali, un modo lineare per promuovere la cura del vivaio, per spingere tutte le società alla collaborazione. Purtroppo però non si è visto nulla di tutto questo: qualche timido tentativo, ma nessuna novità sconvolgente. Le società sono sempre le stesse, quelle di IBL2 vanno e vengono senza lasciare traccia, il "farm system" è ancora molto teorico. Il dato più significativo è che ovviamente in questi sei anni la geografia del baseball è rimasta la stessa: c'è Novara al posto di Anzio, ma nel frattempo abbiamo perso Catania, che se non altro poteva rappresentare una città di ben altro peso. E Roma? E Milano? E Torino? E Firenze? Non pervenute, come la Major League che avrebbe dovuto supportare il progetto della lega italiana e avrebbe dovuto aprire il famoso stadio di Roma, per cui si è passati – con le ipotesi – dalla Magliana a Tor Vergata per arrivare all'ultima idea, quella di Marino… Ma in sei anni nulla di fatto.
Non ci sono soldi, si dirà giustamente, c'è la crisi mondiale che non poteva non toccare il baseball. Anche la Major League avrà i suoi problemi, non possiamo negarlo, ma allora ci chiediamo – a maggior ragione – che bisogno c'è di andare avanti così? Di continuare con questo campionato per pochi eletti che rischiano di diventare sempre più pochi e sempre meno eletti? Grosseto è stata presa per i capelli sull'orlo del baratro e affidata a una cordata americana. Ma il prossimo che salta chi lo salverà?
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