È l'ora di cena a Clarksville, Texas, e Dad Powell, proprietario del ristorante Lone Star Chop House e allenatore della locale squadra di baseball, si accinge a servire un cliente alto e dall'aspetto robusto appena entrato. "È un forestiero", pensa Dad mentre gli spiega che stasera il menù offre meno del solito: il cuoco – che è anche il prima base della squadra di Clarksville – è dovuto andare a letto presto perché domani mattina dovrà improvvisarsi pitcher contro il Jefferson City. "Il nostro lanciatore è stato appena operato di appendicite", aggiunge con un sospiro, "e sarei disposto a sborsare anche cento dollari pur di trovare un pitcher che domani ci faccia vincere".
È questa la situazione da cui prende l'avvio A Job for a Pitcher, un delizioso racconto di Charles Van Loan, uno dei pionieri della baseball fiction dei primi del Novecento che soleva ritrarre il mondo affascinante del baseball di provincia, soprattutto dell'Ovest degli Stati Uniti, lontano dai fasti (e dai dollari) del professionismo delle grandi città. Così scriveva in un inciso della storia (la traduzione è del sottoscritto): Il baseball, così come è giocato in una squadra di paese, è una questione davvero intima e personale. Il garzone del macellaio che vi consegna la carne potrebbe essere l'interbase della squadra; e voi ci parlate ogni giorno. L'esterno sinistro è vostro cugino; è un fatto che non può non condizionare in positivo il vostro giudizio sulle sue giocate. Il pitcher "va appresso" a vostra sorella, la qual cosa vi colloca nei suoi confronti su un piano di cordialità che sfiora la parentela. In paese tutti conoscono tutti, tutti parlano con tutti; ogni gioia è condivisa, ogni dolore è proprietà comune. E ogni cuore locale si entusiasma al suono della mazza che spedisce la palla verso la recinzione del fuoricampo. Il baseball delle Big Leagues è una meravigliosa istituzione, ma se volete vedere il grande gioco americano nella sua fase più interessante, cercate in provincia.
Charles Van Loan fu uno degli scrittori sportivi più popolari dell'epoca. Nato nel 1876 a San José, in California, cominciò la sua carriera come giornalista per il Los Angeles Examiner, coprendo ogni tipo di manifestazione sportiva dalla boxe, alle corse dei cavalli, al golf, al baseball. Nel frattempo aveva cominciato a scrivere delle storie basate sulle sue annotazioni a bordo campo, storie che lo portarono successivamente a collaborare dal 1904 con il Los Angeles Morning Herald, per poi trasferirsi per qualche anno (1909-1913) sulla East Cost e lavorare per il New York American. Ma ben presto la sua fama di scrittore lo portò ad abbandonare il giornalismo e a scrivere in esclusiva per riviste come il Munsey's Magazine e All-Story Magazine, oltre a pubblicare nove raccolte di short stories, quattro di esse dedicate al baseball: The Big League (1909), The Ten-Thousand-Dollar-Arm (1912), The Lucky Seventh (1913), Score By Innings (1919), che sono state riunite e ripubblicate qualche anno fa da Trey Strecker (Charles Van Loan, The Collected Baseball Stories, McFarland & Company, 2004).
Ma torniamo alla trama di A Job for a Pitcher. Dad continua a lamentarsi con lo straniero che ha appena finito la sua bistecca e lo osserva perplesso: "Abbiamo anche accettato delle scommesse giù al biliardo con i tifosi di Jefferson City, e domani perderemo un sacco di soldi". Il forestiero gli esprime la sua solidarietà, paga il conto, intasca il resto, sbadiglia, saluta e se ne va. Una ventina di minuti dopo eccolo riapparire mentre Dad sta per chiudere il locale: "È ancora valida la sua proposta?"
"Che proposta?" risponde Dad. "Se io vi porto domani un pitcher che vi farà vincere, gli pagherete cento dollari?". Dad crede che lo spilungone lo stia prendendo in giro, ma alla fine accetta: "Va bene, ma prima voglio vedere questo lanciatore". "Perfetto", dice il forestiero, "ci vediamo domani mattina alle nove al campo. Porti il suo catcher". Dad chiude bottega e va di corsa alla sala da biliardo dove sono tutti in subbuglio: raccontano che uno straniero mai visto prima ha appena scommesso cinquecento dollari sulla vittoria di Clarksville. "Noi lo abbiamo avvertito che siamo senza pitcher e che stava buttando via i soldi, ma lui ha scommesso lo stesso e se ne è andato". Allora Dad corre all'unico albergo della cittadina, dove vede che nel registro degli ospiti il forestiero si è firmato "J. Smith".
La mattina dopo il sedicente Mr. Smith si presenta da solo al campo: il pitcher promesso è lui stesso. Quasi con nonchalance si toglie la giacca, si sgranchisce le braccia e comincia a sfoderare un incredibile repertorio di dritte velocissime e precise agli angoli, curve mozzafiato, slides imprendibili, lasciando Dad e il catcher a bocca aperta.
Poche ore dopo, alla partita gli spettatori sugli spalti si chiedono chi sia quel lanciatore mai visto prima, mentre fra lo stupore generale i forti battitori di Jefferson City vengono spazzati via da Mr. Smith. La partita finisce 8-0 per la squadra di casa. Ma, nonostante il tripudio generale dei tifosi, il pitcher misterioso che ha appena messo a segno un no-hit rifiuta sorprendentemente non solo i 100 dollari pattuiti ("Non si preoccupi: ho già guadagnato scommettendo sulla nostra vittoria"), ma anche l'offerta fattagli da Dad di un lavoro da venticinque dollari a settimana al ristorante per continuare a giocare con il Clarksville: "Sono solo di passaggio, non credo che sarò in Texas l'anno prossimo".
Qualche mese dopo Dad, trovandosi a Saint Louis per lavoro, decide di andare a vedere una partita fra i Cardinals e i New York Giants. Quando il lanciatore dei Giants sale sul mound, Dad rimane di stucco: quello è Mr. Smith, l'eroe della partita contro Jefferson City! Stupefatto, chiede al vicino di posto: "Ehi, chi è quel pitcher?" "Cosa!?", è la risposta, "Credevo che fosse conosciuto in tutto il mondo! È Iron Man McFinnerty, quello che l'anno scorso ha fatto vincere il pennant ai Giants!". "E io che volevo offrirgli 25 dollari la settimana!" mormora fra sé e sé il povero Dad.
Per i lettori dell'epoca doveva essere facile riconoscere dietro la figura del Mr. Smith/Mc Finnerty del racconto il profilo del grande Joe Iron Man McGinnity, il pitcher che deteneva allora vari record (uno ancora imbattuto: 434 inning lanciati in un solo campionato della National League) e che per l'appunto aveva portato alla vittoria i Giants nelle World Series del 1905. Un tipo peculiare, particolarmente incline a discutere di questioni economiche con il proprietario del club, nonostante fosse -con un salario di 5.000 dollari l'anno- uno dei giocatori meglio pagati delle Majors.
Insomma, nei suoi racconti Charles Van Loan presentava il baseball delle serie minori, delle leghe indipendenti, dei circuiti amatoriali che guarda "dal basso" con ammirazione -ma non sempre con invidia- il grande baseball delle Major, rovesciandone i valori. Ecco dunque che il motivo narrativo del "campione venuto dal nulla" che strutturava di solito il racconto dell'ascesa dei giovani talenti e che abbiamo visto essere uno dei motivi "fondanti" della baseball fiction, viene qui invertito: adesso è il grande professionista a calare dall'alto come un deus ex machina per risolvere i problemi dei poveri mortali che si affannano sui diamanti periferici. Se dunque gli articoli dei giornali riportavano le gesta degli eroi della Big League, le short-stories attingevano e a loro volta alimentavano un folklore in continua evoluzione che trasformava le leggende in fatti e i fatti in leggende. Nel nostro prossimo appuntamento vedremo un'altra variazione interessante su questo tema nella prosa di Van Loan.
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