Oggi ci occuperemo di un'altra testimonianza della penetrazione del baseball come tema nei testi letterari dei primi del Novecento. Abbiamo visto come l'auge dello sport professionistico provocasse l'apparire della baseball fiction a opera di giornalisti che presero a scrivere racconti in margine agli articoli di cronaca sportiva, e come durante gli anni della cosiddetta Dead-Ball Era -l'Era della Palla Morta, il primo ventennio del secolo XX- la figura del lanciatore diventasse centrale nelle narrazioni. Ma accanto ai magazine sportivi, furono anche le forme più popolari del teatro americano dell'epoca a riflettere questa crescente diffusione del baseball nella cultura di massa.
Il primo testo teatrale conosciuto ad avere per tema il battiecorri è A Base Hit, una commedia in tre atti di Thomas W. King, pubblicata nel 1888 e di cui l'anno seguente venne allestita una versione musicale. Nei trent'anni successivi sono rintracciabili una decina di opere per la scena, fra commedie, farse e vaudeville, tutte incentrate sul nostro gioco. Certo, si tratta di testi non eccezionali, tutti in chiave comica, di autori minori oggi dimenticati o a malapena noti agli specialisti. Eppure rappresentano delle testimonianze interessanti che vale la pena osservare da vicino. È il caso di un atto unico intitolato Wanted – A Pitcher, una farsa di un tal M. N. Beebe pubblicata a Boston nel 1913 (se ne conserva una copia digitalizzata presso la Library of Congress che può essere letta online qui).
Si tratta di una pièce tipica di quel teatro commerciale estremamente diffuso negli Stati Uniti fra Otto e Novecento sulla scia delle farse di William Dean Howells (1837-1920): decine di autori sfornavano testi drammatici brevi in cui si presentavano tipi e situazioni divertenti tratti dalla vita quotidiana, con dialoghi diretti e concisi che riproducevano mimeticamente la parlata della vita reale. Tali opere venivano rappresentate anche da gruppi amatoriali e studenteschi o pubblicate su riviste o in opuscoli dal prezzo economico. Wanted-A Pitcher, per l'appunto, era venduta a 50 centesimi, e metteva in scena una situazione che abbiamo già incontrato nei racconti di Charles Van Loan: quella di un squadra in emergenza alla ricerca disperata di un pitcher per poter giocare una partita decisiva.
La scenografia riproduce l'interno dell'ufficio di Doc Marshall, un agente immobiliare che è anche il manager della squadra di baseball di Hillville. È mattina, e per le tre del pomeriggio è prevista la partita contro la squadra del vicino Valley. L'Hillville ha vari lanciatori fuori uso, ma Doc non è preoccupato perché può contare ancora sul suo miglior pitcher, il fortissimo mancino Hank Dewberry. Ma ecco che squilla il telefono: è lo stesso Hank alla cornetta che chiama per avvertire che non potrà giocare: c'è una montagna di fieno da raccogliere e suo padre lo obbliga a lavorare nei campi invece di perdere tempo sul diamante. Doc si dispera e mette in atto una triplice strategia: anzitutto diffonde la voce che la squadra sta cercando urgentemente un pitcher per la partita del pomeriggio; allo stesso tempo prova a convincere il padre di Hank a lasciare andare il figlio almeno per poche ore, il tempo di vincere contro il Valley; e in ultima istanza chiede in giro se c'è qualcuno disponibile quantomeno a sostituire il giovanotto nella raccolta del fieno. A questo punto uno dietro l'altro fanno il loro ingresso vari personaggi che hanno sentito dire che Doc sta cercando un lanciatore. Si creano così situazioni comiche e paradossali perché ognuno di loro interpreta in maniera diversa la parola "pitcher", che in inglese ha vari significati.
Il primo ad apparire è Isaac Steinberg, un venditore ambulante ebreo che cerca di insistentemente di vendere a Doc delle brocche per l'acqua (per l'appunto, pitchers) per il ball (il ballo, ma anche il ballgame, la partita di baseball). L'inglese di Steinberg è quello caratteristico degli immigrati ebrei dell'Europa centrale:
"The place where I vas at down at the Valley yesterdays I meets a feller by name Nelson, and he says, ‘The place to sell those pitchers is up at Hillville; they vill need lots of pitchers up there to-morrow for the ball." I understands; yes, a ball is very thirsty place, what? You need my pitchers for ginger beer maybe".
Poi è il turno di Paddy O'Toole, un manovale irlandese. Gli hanno detto che Doc sta cercando un pitcher, ossia un muratore specializzato nella costruzione di tetti. Anche l'accento di Paddy è fortemente caratterizzato dai tratti linguistici della sua terra d'origine:
"Oi wonder phwat the divvle a job av roofin' there is about this shack? Afternoon, sor. Might it be yourself that's lookin' for some wan to do a pitching job?"
Ecco poi l'immancabile immigrato italiano. Si chiama Nicholas Navaroni, fa il violinista e si offre per suonare (to play è "suonare" ma anche "giocare") al ballo (ball) visto che nessuno come lui è così preciso nell'intonazione dello strumento (to strike the pitch), e per dimostrarlo cominciare a suonare davanti a tutti:
NAVARONI: "Gooda-day, gentlamen; Meester Marshall, ees it? Ze boy say you wanta someboda to play for da ball. I am full of da museek. It ees my soul."
DOC: Why, yes, we do want somebody to play. Could we get you to pitch?
NAVARONI: Firsta time I strika da peetch-so! (Passa l'archetto sul violino) Nevair miss to strike da peetch.
Doc Marshall e i suoi sono disperati: "Questa specie di Sinfonia Napoletana non sa che stiamo cercando un lanciatore di baseball! Sembra proprio che il nostro sport nazionale non sia fra i favoriti di questi rappresentanti di climi stranieri che ci hanno fatto visita quest'oggi!" Quest'ultima frase è rivelatrice della crescente ostilità di una parte dell'opinione pubblica americana dell'epoca verso gli stranieri che erano sbarcati negli Stati Uniti a milioni dal 1880 in poi durante la cosiddetta Great Migration, ostilità che nei primi anni Venti portò a legislazioni più restrittive in materia di immigrazione. Ma il baseball alla lunga -come vedremo prossimamente- seppe essere ben presto uno strumento di integrazione per i nuovi venuti e i loro discendenti.
Torniamo alla farsa. Continuano a verificarsi situazioni esilaranti. A un certo punto entra in scena un fotografo, un tal Bert Marks, che ha capito che la squadra cerca qualcuno per scattare delle foto (picture ha un suono simile a pitcher), mentre l'interbase della squadra, un tipo divertente e intellettualoide che parla un inglese raffinato e pieno di citazioni colte (e che si chiama, manco a dirlo, Benjamin Franklin Bangs) si offre per andare a raccogliere il fieno al posto di Hank. La confusione e la disperazione continuano a imperare, fino a che Doc riesce a convincere il padre di Hank e lasciare libero suo figlio e la farsa finisce in gloria con il mancino pronto per disputare la partita e tutti i personaggi in scena per la foto ricordo finale.
Insomma, Wanted – A Pitcher è una farsa che rispetta le convenzioni del genere, con personaggi stilizzati basati su stereotipi, la ricerca della risata spesso fine a se stessa e un buon ritmo scenico che conduce all'inevitabile happy end. Un testo leggero, un buon esempio di queste prime apparizioni del baseball sui palcoscenici americani in opere che, a differenza di quanto stava succedendo con la baseball fiction in prosa, né giunsero a costituire un sottogenere proprio né raggiunsero risultati paragonabili a quelli dei racconti di un Charles Van Loan o un Ring Lardner.
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