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"Di nuovo in gioco" e l'imprevedibilità della curva

Gli appassionati di baseball sanno che, malgrado ci siano giocatori in grado di lanciare una palla a quasi 160 chilometri l'ora, ciò che distingue un giocatore di Major League da uno di Minor è la sua abilità di colpire la palla curva. Una "curva" lanciata come si deve, infatti, esce dalle mani del lanciatore che sembra una "veloce" per poi, all'ultimo momento, cambiare traiettoria, uscendo il più delle volte dalla zona di strike. A quel punto il battitore può solo cercare di immaginare dove andrà a finire la palla, girare la mazza con tutta la forza che ha in corpo e sperare di averci azzeccato. Ecco, nella vita è un po' la stessa cosa: quando i guai arrivano, sopravvivere è soprattutto una questione di riflessi.

"Trouble with the curve" (in italiano un anonimo e quanto mai fuorviante "Di nuovo in gioco") è il bel titolo originale del film diretto da Robert Lorenz, con Clint Eastwood protagonista, che racconta la storia di Gus Lobel, un vecchio scout degli Atlanta Braves con qualche acciacco di troppo, costretto ad affrontare l'offensiva di colleghi più giovani armati di PC e statistiche alla moda. Quelli che, per intenderci abbiamo visto in azione neanche troppo tempo fa nel bel lungometraggio candidato all'Oscar, "Moneyball – L'arte di vincere".

Per molti versi Di nuovo in gioco è un film speculare a quello scritto dal premio Oscar Alan Sorkin che vede Brad Pitt protagonista. Lì, infatti, avevamo un giovane e dinamico GM della California alle prese con un mondo sclerotizzato e asserragliato dietro ad antiquati stereotipi. Qui invece abbiamo un anziano scout del profondo sud che si rifiuta di usare il PC perché è convinto di poter "sentire" quando un giocatore colpisce bene una palla. Due modi di vedere il baseball e la vita radicalmente diversi che contrappongono idealismo e materialismo, la volatilità delle sensazioni umane alla freddezza dei numeri, l'esperienza e la testardaggine alla flessibilità necessaria a reinventarsi continuamente per restare in gioco.

In verità, però, in entrambe le pellicole, il nodo centrale non è tanto il conflitto tra visioni differenti del baseball – tematica che pur fa da sfondo alle due vicende – quanto la capacità degli esseri umani di adeguarsi al cambiamento inatteso e repentino pur di sopravvivere alle difficoltà. Proprio come quando un battitore, colto alla sprovvista, si ritrova a dover colpire una curva che rapidamente fugge via dall'aria di strike.

Sia in L'arte di Vincere che in Di nuovo in gioco, infatti, i due protagonisti si trovano costretti loro malgrado a trasformarsi per poter continuare a fare il proprio lavoro. Tuttavia, tra il GM Billy Beane e l'anziano scout Gus, è certamente il personaggio interpretato da Eastwood quello che fa più fatica adeguarsi al nuovo stato delle cose. Il baseball sta cambiando e lui non ne vuole sapere di arrendersi a questa evidenza. D'altronde, come anche gli ultimi personaggi interpretati dall'attore ottantenne, Gus ha fatto del suo mondo solitario la sua confortevole prigione-rifugio e lì, in un campo da baseball, al sicuro da impiccioni e ficcanaso, ha deciso di seppellire rimorsi, paure e sensi di colpa di una vita. È un equilibrio logorante, che però al buon Clint va bene così.

A stanare e a destabilizzare l'anziano cacciatore di talenti in difficoltà ci pensa l'arrivo inatteso della figlia (una bravissima Amy Adams) che preoccupata per la salute del padre – Gus ha problemi di vista – non esita a mettere a repentaglio la propria carriera di avvocato, pur di venirgli in soccorso. Tra i due ci sono anni di silenzi e distanze, esasperati dalla passione solitaria dell'uomo per il baseball e com'è prevedibile, la coppia fa scintille fin da subito. Col passare dei giorni trascorsi insieme a scovare giovani talenti nella profonda provincia americana però, padre e figlia prima portano a galla un passato doloroso e poi – sopratutto grazia alla comune passione per il baseball – riescono a ricostruire il loro rapporto. Il baseball dunque, anche in Di nuovo in gioco, proprio come in L'uomo dei sogni e nello stesso Moneyball – L'arte di vincere, è lo strumento che permette alle diverse generazioni di mantenere un canale di comunicazione aperto.

Dall'incontro-scontro tra padre e figlia dunque, nasce un nuovo equilibrio: Gus capisce che è arrivato il momento di farsi da parte, mentre la ragazza scopre di non voler sacrificare i sentimenti alla propria carriera di avvocato. E così, nel più classico degli happy end hollywoodiani, avviene l'inevitabile passaggio del testimone, l‘agognata riconciliazione e finanche la benedizione della ovvia storia d'amore tra la ragazza e un giovane scout belloccio (Justin Timberlake). Tutto, insomma, in Di nuovo in gioco va come deve andare ed è un peccato perché è proprio questa prevedibilità è la pecca più grande di un film che ha dialoghi brillanti, belle scene di sport e un cast davvero notevole (tra tutti, va citato il sempre strepitoso John Goodman). Era, infatti, proprio il finale agrodolce di Moneyball – L'arte di vincere a rendere indimenticabile l'interpretazione di Billy Beane fatta da Brad Pitt, mentre perso in questo calderone di buoni sentimenti il personaggio del vecchio scout Gus rischia di finire oscurato dagli altri numerosi duri dal cuore d'oro interpretati da Eastwood nella sua carriera.

In definitiva la pellicola di Robert Lorenz, che vede il ritorno del grande Clint nelle vesti di attore non regista, è decisamente meno efficace quando diventa prevedibile, proprio come accade alle palle curve mal lanciate.

Devor de Pascalis

Devor de Pascalis è scrittore e sceneggiatore di cinema e TV. Nato a Roma nel 1976, si innamora perdutamente del baseball nell'inverno nel 1986 quando la mamma americana lo porta a trovare lo zio di Brooklyn, grande tifoso dei Dodgers (quelli di Pee Wee Reese e Roy Campanella, per intenderci). Tornato in Italia impara le regole del gioco grazie al Nintendo e a Bases Loaded 2, segue la MLB trafugando copie di USA Today dall'ambasciata americana, si invaghisce della protagonista dell'anime "Pat la ragazza del Baseball" e si mette a giocare nella Roma come "centro panchina". Sviluppa negli anni una passione malsana per le statistiche, che ritiene il personale rimedio al logorio della vita moderna, e tifa da sempre New York Mets perché non gli è mai piaciuto vincere facile. Ancora oggi ricopre con un certo successo il ruolo di "centro panchina" nella squadra amatoriale di softball del Green Hill.

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