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Viaggio nel baseball del Michigan (quarta parte)

Se per assistere a una partita di singolo A eravamo andati a Lansing, per vedere il baseball di Triplo A dobbiamo dirigerci verso sud, passare in Ohio e raggiungere la città di Toledo. Qui, a una novantina di chilometri da Detroit, ha sede la squadra delle Mud Hens, appartenente alla franchigia dei Tigers, che oggi affronterà gli Indians di Indianapolis, che a loro volta fanno parte del farm system dei Pittsburgh Pirates.
Fedeli ai nostri rituali, cominciamo la visita di questa città di circa trecentomila abitanti dal Toledo Museum of Art (collezione più ridotta rispetto a quella del Detroit Institute of Arts, ma di valore eccezionale, con dipinti europei e americani di ogni epoca, anche se stavolta non abbiamo trovato quadri aventi per soggetto il baseball) e dal sorprendente Glass Pavilion proprio di fronte, dall'altra parte della strada: un edificio avveniristico dalle pareti in vetro, che raccoglie migliaia di opere d'arte fatte di cristallo. All'interno del padiglione vi sono anche dei forni ad alta temperatura in cui degli artigiani modellano per dimostrazione brocche, vasi e altre oggetti incredibili dalle mille forme da far invidia ai capolavori di vetro soffiato di Murano.
Ma è tempo di avviarci verso il Fifth Third Field, lo stadio dove giocano i Mud Hens (il nome è quello di un tipo di gallina selvaggia delle praterie), inquadrati nel girone ovest dell'International League. Il diamante, scavato in un isolato del downtown, è visibile dalla strada attraverso una cancello d'accesso dal lato del campo esterno. Bellissimo e arioso, il Fifth Third Field (il nome è quello della banca che sponsorizza l'impianto) ha una capienza di circa 10.000 posti, e a quanto pare viene considerato uno dei migliori stadi delle Minor Leagues (ma il più bello per me resta il Campbell's Field, casa dei Riversharks, a Camden, New Jersey). Mancano ancora quasi due ore all'inizio della partita, ma c'è già movimento nelle strade intorno: famiglie, gruppi di amici, coppie che indossano maglietti e berretti blu con la T di Toledo, ma si vedono anche berretti con la D gotica di Detroit e la C rossa dei Cincinnati Reds. Per adesso la folla gira attorno al cancello d'entrata dello stadio, incorniciato da mazze giganti, e si disperde nei vari ristoranti della zona.
Anche noi abbiamo un obiettivo: ci hanno consigliato di cenare da Tony Packo's, un ristorante ungherese che è un vero must per gli appassionati di baseball, a un tiro di schioppo dallo stadio. Sembra che consumare lì uno spuntino prima della partita sia considerato propiziatorio per le sorti della squadra di casa di Toledo. Così scartiamo i vari Spaghetti Warehouse e Kentucky Fried Chicken dei dintorni, e ci troviamo sulla porta di Packo's. Ad accoglierci, sul marciapiede a sinistra dell'entrata, c'è una statua in bronzo: un giocatore di baseball sta insegnando a un bambino -anch'egli in divisa- la posizione corretta da assumere in battuta. La mazza impugnata dal piccolo è sparita -c'è rimasto solo il manico- ma l'immagine fa tenerezza lo stesso (si tratta forse di un padre e un figlio?).
A prima vista l'interno del locale sembra quello tipico di tanti altri ristoranti popolari americani: i tavoli in fila con i sedili imbottiti, il bancone con le birre alla spina, i camerieri che vanno e vengono con i vassoi. Poi ci guardiamo intorno e ci accorgiamo di essere entrati in un piccolo tempio del baseball: cimeli appesi ai muri, gigantografie con foto in bianco e nero di azioni di gioco degli anni '50 e '60, televisioni che trasmettono partite in diretta (i clienti stanno seguendo su uno schermo lo scontro fra Tigers e Yankees, su un altro c'è una partita di Little League) e addirittura un tabellone elettronico preso da chissà quale campo da baseball e appeso sul muro di fondo.
Quello accanto allo stadio è forse il Packo's più famoso di quella che è ormai una catena specializzata in hot dogs e cucina ungherese. Il primo locale lo fondò Tony Packo, figlio di immigrati magiari, nel lontano 1932, in piena Depressione. Poi venne la lenta espansione lungo i decenni, fino al colpo di fortuna degli anni ‘70: un giorno Jamie Farr, uno degli attori della serie televisiva MASH, nativo per l'appunto di Toledo, che impersonava il caporale medico Klinger (lo ricordate? era quello bassino, un po' picchiatello, con gli occhialetti rotondi) inserisce a sorpresa una battuta nel copione di una puntata: "Se capiti a Toledo, non perderti gli hot dog di un ristorante ungherese chiamato Packo's, costano solo 35 centesimi…". D'accordo, si trattava di pubblicità occulta, ma sembra che l'iniziativa di Farr fosse davvero spontanea, un colpo di genio frutto dell'improvvisazione che piacque tanto al regista da fargli inserire negli episodi seguenti molti riferimenti agli hot dog di Packo's, per caratterizzare il personaggio di Klinger. Così il ristorante divenne famoso in tutti gli States, e da allora chiunque passa per Toledo non manca di fare un salto al ristorante ungherese.
Diamo un'occhiata al menù e constatiamo che oltre agli hot dog (che ovviamente non costano più 35 centesimi…) e gli hamburger con le immancabili patatine, c'è anche il gulasch, vari tipi di chili e dei deep-fried pickles, dei cetriolini sottaceto panati e fritti (mah…!). Intanto sugli schermi i Tigers stanno perdendo contro gli Yankees il terzo incontro in tre giorni. Ci guardiamo intorno per sbirciare le reazioni dei clienti alla sconfitta della squadra di Detroit, ma la gente si sta alzando dai tavoli e il locale si sta svuotando, perché sta per comiciare la partita al Fifth Third Field. Anche noi finiamo di mangiare e ci affrettiamo come gli altri verso lo stadio.
La serata finirà male anche per i Mud Hens, sconfitti in casa per 5 a 6. Stadio pieno a metà, squadra di casa che va presto in svantaggio, i tifosi locali che si entusiasmano per un solo homer all'ottavo inning che riaccende le speranze sugli spalti… ma non c'è niente da fare: lo spuntino propiziatorio non ha funzionato, la rimonta non si compie, gli Indians fanno bottino pieno, e noi ci riavviamo in macchina verso nord.

Luigi Giuliani

Un vita spezzata in tre: venticinque anni a Roma (lanciatore e ricevitore in serie C), venticinque anni in Spagna (con il Sant Andreu, il Barcelona e il Sabadell, squadra di cui è stato anche tecnico, e come docente di Letteratura Comparata presso le università Autónoma de Barcelona e Extremadura), per approdare poi in terra umbra (come professore associato di Letteratura Spagnola presso l'Università di Perugia). Due grandi passioni: il baseball e la letteratura (se avesse scelto il calcio e l'odontoiatria adesso sarebbe ricco, ma è molto meglio così...).

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