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Auguri per i tuoi cent'anni, caro Wrigley Field!

L'American League avrà il suo Fenway Park, di appena un paio di anni più "grande", con il suo Green Monster, la sua storia e le sue leggende. Ma la National League può vantare uno stadio che certamente non è da meno, il Wrigley Field, che quest'anno festeggerà il suo centenario.
Costruito esattamente un secolo fa, prende il suo nome dal magnate dell'industria delle gomme da masticare William Wrigley Jr. che nel 1916 lo scelse come casa per i suoi Chicago Cubs. Il campo, a differenza dell'irregolare Fenway, è costruito con la classica forma a diamante e, nell'immaginario collettivo, è un po' come un campo da baseball dovrebbe essere: ha il muro dell'outfield ricoperto di edera, il cartellone segna punti girato a mano ed alcuni palazzi, che si affacciano direttamente sul campo, sono diventati parte integrante dello stadio. L'edificio, in virtù di tutte queste sue caratteristiche, è stato dichiarato "National Landmark" e dunque, a differenza di quello che è accaduto a molti altri stadi storici (Yankee Stadium su tutti), non potrà essere abbattuto.
Nonostante la sua bellezza e il fatto che sia soprannominato "The Friendly Confines" (i confini amichevoli) da entrambi tifosi e giocatori, nel corso degli anni il Wrigley Field si è dimostrato un luogo tutt'altro che ospitale per i Cubs. Più di cento formazioni diverse sono scese in campo a giocare nell'opening day e nessuna di queste è mai riuscita a portarsi a casa una finale del campionato. I Cubs, come è noto, infatti, non vincono le World Series dal 1908, quando giocavano ancora nel West Side Grounds. Alcune volte ci sono andati vicini, specie negli anni ‘30, quando i Cubs si aggiudicarono il National League Pennant per ben tre volte in dieci anni – nel ‘32, ‘35, ‘38 – ma nessuna squadra dopo quella del 1945, è mai più approdata alle World Series. A quell'anno, infatti, è legata la cosiddetta maledizione di Billy Goat.
Leggenda vuole che tale Billy Sianis, allora proprietario della vicina "Billy Goat Tavern", portò la propria capra portafortuna ad assistere a gara-4 della finale. Il magnate K. Wrigley in persona, però, infastidito dall'odore dell'animale, obbligò Sianis a lasciare lo stadio. Il tifoso, offeso per il trattamento subito, per tutta risposta pronunciò la fatidica frase: "I Cubs non vinceranno mai più". E la squadra, al comando di quella finale per due partite a uno, finì per perdere quella gara e poi anche le altre due. Da allora i North Siders – per distinguerli dai South Siders White Sox – non hanno mai più preso parte ad una World Series. E si tratta del digiuno più lungo della MLB.
Altri momenti leggendari della lunga vita di questo stadio (tutti comunque legati a sconfitte clamorose) sono stati il famoso Home Run "dichiarato" di Babe Ruth nelle World Series del 1932, quando il grande slugger degli Yankees pare abbia indicato con la mazza dove avrebbe mandato la palla di lì a poco, e la sfortunata storia di Steve Bartman, tifoso spensierato, che durante i play off del 2003 ha tolto letteralmente la palla dal guanto dell'esterno Moises Alou a pochi out dalla vittoria, di fatto concedendo la possibilità ai Florida Marlins di rientrare in partita e successivamente di vincere la finale.
I Cubs e il loro campo dunque pare proprio siano legati da un comune destino che li condanna ad essere dei Lovable Losers, degli adorabili perdenti. Un destino che quest'anno compie un secolo. Quindi tanti auguri al Wrigley Field e ai Cubs nella speranza che prima o poi, come è successo ai Red Sox, anche questa maledizione possa concludersi con un lieto fine. E chissà che non sia proprio il 2014 l'anno buono: siamo certi che, dovessero arrivare in finale, sarebbero in molti a tifare Cubs. Anche fuori dei confini della ventosa Chicago.

This post was published on 28 Gennaio 2014 00:09

Devor de Pascalis

Devor de Pascalis è scrittore e sceneggiatore di cinema e TV. Nato a Roma nel 1976, si innamora perdutamente del baseball nell'inverno nel 1986 quando la mamma americana lo porta a trovare lo zio di Brooklyn, grande tifoso dei Dodgers (quelli di Pee Wee Reese e Roy Campanella, per intenderci). Tornato in Italia impara le regole del gioco grazie al Nintendo e a Bases Loaded 2, segue la MLB trafugando copie di USA Today dall'ambasciata americana, si invaghisce della protagonista dell'anime "Pat la ragazza del Baseball" e si mette a giocare nella Roma come "centro panchina". Sviluppa negli anni una passione malsana per le statistiche, che ritiene il personale rimedio al logorio della vita moderna, e tifa da sempre New York Mets perché non gli è mai piaciuto vincere facile. Ancora oggi ricopre con un certo successo il ruolo di "centro panchina" nella squadra amatoriale di softball del Green Hill.

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