Ci sono delle storie che escono dal comune denominatore dello sport e finiscono per riassumere usi e costumi di un’intera epoca. Un solo gesto basta, più che mai se ha dell’incredibile e vi si entra a conoscenza quasi per caso.
Partiamo dall'antefatto. In Italia oggi si ha un buonissimo accesso a quel che succede nel baseball oltreoceano. Internet in primis, Tv, siti specializzati. Ma di quello dei primi anni ’70 (e dei suoi eccessi) ne sappiamo molto poco, più che mai se il modo stesso del baseball certe cose vorrebbe che non si sapessero proprio o dimenticarle in fretta. Capita dunque che mentre si cerca di capire quali saranno i film della prossima edizione del Sundance Film Festival (una di quelle cose per le quali vale la pena vivere, insieme allo Skoal Cherry quando si gioca a slow pitch, nda) ci si imbatte in un documentario che l’anno scorso non avevamo notato. Praticamente in contemporanea, la stessa storia esce approfondita anche sul sito Vice.com (una di quelle cose per le quali vale la pena accendere il computer tutti i giorni, nda).
Tutti i frequentatori abituali di baseball.it sanno cosa è una no-hitter, molti sapranno che sino ad adesso ne sono state realizzate in tutto 287. Pochi, invece, sono a conoscenza che quando Dock Ellis lanciò la sua il 12 giugno del 1970 (giocava nei Pirates che incontravano i Padres a San Diego) molto probabilmente era sotto effetto di Lsd. Anzi, togliete quel probabilmente… Beccati questo, Albert Hoffman…
Tutto questo è approfondito in No No: A Dockumentary (qui il sito ufficiale), diretto e prodotto da Jeff Radice e presentato lo scorso anno al Sundance. Vale la pena dire che su questa storia gli aneddoti si sprecano, considerato anche che il talentuoso Ellis era famoso per il suo approccio molto diretto alle sostanze lisergiche. Si diceva infatti che ne era un consumatore abituale e che durante quella stagione raramente si era presentato lucido sul monte di lancio, o nel bullpen nei giorni in cui non era in rotazione.
La storia della no hit poi è ricca di particolari, e si può trovare riassunta anche in questa divertente animazione con la voce dello stesso Ellis a narrare, intervistato nel 2008 sulla questione che intanto era venuta alla luce già quattordici anni prima.
Di fatto, secondo lo stesso Ellis, la squadra arrivò a San Diego ventiquattro ore prima della partita, e con un giorno di riposo davanti Ellis prese dell'Lsd in aeroporto e si recò da un'amica a Los Angeles. Festa, una bella dormita e altro Lsd appena sveglio, fatto salvo che realizzò che quel giorno avrebbe dovuto lanciare. Così si recò a San Diego alla svelta, e nonostante le condizioni non proprio ottimali riuscì a non concedere nemmeno una valida ai Padres. Okay, ci furono anche otto basi, un colpito e svariati lanci fuori bersaglio, ma terminò 2 a 0 per i Pirates e la casella delle valide subite clamorosamente fissa a quota zero.
Che i compagni sospettassero qualcosa lo si intuisce dal fatto che il ricevitore, un po' come Buster Posey e le sue unghie nelle ultimissime World Series, aveva messo del nastro adesivo sulle dita per far vedere meglio i segnali a Ellis. Quando gli chiesero se aveva visto l'ultimo out, rispose “Se l'ho visto? Se tu l'avessi visto come l'ho visto io…”. O anche, quando nel 2008 gli chiesero ulteriori lumi, disse che non aveva idea di chi stesse affrontando. “Non sapevo se davanti mi trovavo Hank Aaron, Willie Mays o Mickey Mantle”, tanto che a parte capire se il battitore era destro o mancino si limitava a lanciare.
Una normale storia di “fattanza”, o è stato solo una sorta di esperimento, del tipo “vediamo come lancio quando sono flippato”? Effettivamente la storia si è arricchita di particolari e di ricami nel corso degli anni, ma chi era in squadra con lui assicurò che sì, probabilmente Ellis si trovava sotto trip, ma che aveva la piena consapevolezza di quello che stava facendo, seppur con qualche piccola differenza rispetto al normale. Tipo una copertura della prima su una rimbalzante condotta praticamente a passo di danza e altre cose di simile bizzarria. Forse il ritmo che deve mantenere un lanciatore in pedana in parte gli consentì di mantenere quel filo di lucidità che lo portarono, incredibilmente, alla migliore prestazione di una carriera che lo vide comunque vincere l'anello con i Pirates l'anno successivo, il 1971 in cui partecipò anche all'All Star Game.
Alle World Series ci tornò anche nel 1976 con gli Yankees, che probabilmente conoscevano la fama di Ellis ma che, se la storia si fosse conosciuta prima, avrebbero decisamente mal digerito la sua presenza in pinstripes. Se pensate che Johnny Damon si tagliò i capelli quando passò dai Red Sox agli Yankees, avete un'idea del rigore che vige dalle parti del Bronx. Comunque sia, Ellis può anche essere ricordato per le 138 vittorie in carriera (contro 119 sconfitte), una media pgl di 3,46 e 1.136 strike out. A proposito di ricordi, il cruccio di Ellis confessato anni dopo fu che della sua migliore partita di sempre non ha memorie. Si era da tempo “ripulito” ed era diventato anzi un attivista contro l'uso di droghe, attività che svolse volontariamente sino praticamente alla sua morte, avvenuta nel 2008.
Questo è quanto c’era da dire su quella incredibile no-hit, avvolta nell’alone del mistero ma forse neanche tanto, un’altra incredibile storia che ci regala il baseball. Okay, probabilmente non di quelle particolarmente istruttive, di quelle da indicare ai bambini come esempio. Ma lasciatecelo dire e passateci la pessima battuta, è pur sempre una storia stupefacente…
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