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Faso, 50 anni sul palcoscenico del baseball

"Cosa vuoi chiedere a uno che sta per compiere 50anni? Non senti, ho già la voce di Califano…". Faso, al secolo Nicola Fasani, si schiarisce l'ugola e si prepara a cantare, ovvero a parlare di baseball a 360 gradi proprio nel giorno in cui taglia il fatidico traguardo del mezzo secolo. Cinquant'anni per un ragazzino che in fondo ha smesso di giocare solo quattro anni fa, che resta tuttora in campo come allenatore delle giovanili dell'Ares e soprattutto che continua a calcare le scene dello spettacolo con il gruppo di Elio e le Storie Tese. "Sì, 50 anni per un uomo di sport sono da pensione, mentre per un uomo di spettacolo sono l'età della maturità, anche se dipende dalle cose che fai… Certo, tante volte sul palco vedi gente incartapecorita che fa un po' paura, ma c'è anche chi continua cavarsela bene. Se sei Tom Jones fai ancora la tua figura, ma se sei Boy George meglio gridare aiuto. E poi noi ci salviamo perché abbiamo sempre fatto una scelta estetica un po' particolare…"
Faso, ovvero mister Ares, l'uomo che più di tutti ha voluto, creato e portato avanti questa società che rappresenta ormai da quasi trent'anni l'altra faccia del baseball a Milano. Già, ma non tutti sanno che Faso c'entra un po' anche con la storia del Milano '46, visto che nel periodo di fusione tra le due società ad inizio anni Duemila Nicola è stato anche giocatore e presidente del Milano. E dunque anche a lui dobbiamo una finestra celebrativa sul nostro sito. Se guardiamo i numeri, infatti, Fasani vanta ben 82 presenze e la cuiriosità di aver battuto ben 10 tripli che lo pongono addirittura al 16° posto della classifica all time del Milano in questa specialità, affiancato a Mariano Drago e Francesco Parisini. Nato a Milano l'8 aprile del '65 (lo stesso giorno di Max Ott, pensate, esattamente 60 anni dopo), ha giocato praticamente sempre in prima base ma è stato anche un discreto battitore, almeno nelle categorie in cui ha giocato.
E adesso invece cosa fa il Faso baseballista?
"Il presidente fisso, come al solito. Praticamente sono dimissionario da quando è stato fondato l'Ares, ma le mie dimissioni sono sempre state respinte… Ho smesso di giocare ormai da quattro anni, ma sono rimasto in campo scoprendo una nuova dimensione: alleno i Ragazzi con dei bei risultati, siamo campioni di Lombardia da tre anni e adesso sono pronto a passare alla categoria Allievi, che rappresenta già un livello di baseball vero. E devo dire che ho provato delle soddisfazioni che non immaginavo. Lo scorso anno alle finali nazionali della categoria ho provato un'emozione che non mi era mai capitata in 25 anni di baseball giocato: la vittoria in semifinale contro il San Martino di Verona, in una partita incredibile che al 6° inning era ancora 0-0, pensa che cosa vuol dire per una categoria Ragazzi… una cosa impensabile. E io che sono uno che si mangia sempre le unghie, le avevo praticamente finte".
Emozioni dovute anche al fatto che in quella squadra gioca tuo figlio…
"Sì, ma non solo. Un'emozione condivisa certamente con Matteo, ma con lui è bello anche andare soltanto a fare due tiri. Però emozione è anche vedere quelli che magari due anni fa erano i più scarsi e che oggi invece sono nettamente migliorati: una cosa fantastica. Certo, posso dirti che allenare il proprio figlio non è facile; per fortuna con l'altro allenatore, che ha anche lui il figlio in squadra, ci siamo parlati chiaro: tu tratti con mio figlio e io con il tuo…"
Ma Matteo Fasani è meglio di Nicola?
"Beh è molto diverso. Intanto è tutto destro, in battuta e nel tiro. E poi ha cominciato molto presto, a 8 anni, mentre io ho scoperto il baseball a 18… Lui è un "piscinela", non ha un fisico alla "Pasottone", il figlio di Raoul. Però i tecnici che l'hanno avuto nella selezione della Lombardia mi dicono che è bravo, assomiglia a me almeno nella grinta. Poi devo dirti che ha una conoscenza straordinaria del gioco, superiore a quella che avevano certi miei compagni di squadra di un tempo… Credo che l'abbia acquisita molto grazie ai videogame, con cui mi batte quasi sempre, soprattutto dal punto di vista della strategia. Comunque nella selezione lombarda gli hanno dato il premio per il giocatore più grintoso…"
Te l'avranno già chiesto centinaia di volte, ma tu come sei arrivato al baseball?
"Per caso. Quando uno si dedica alla musica cerca di evitare gli sport, soprattutto quelli con la palla che ti possono far male alle dita. E io da ragazzino ero veramente lontano dal mondo dello sport. Però quando avevo 13-14 anni a Milano si sentiva ancora la lontana presenza di questo sport che per anni aveva avuto successo e così scoprii che il fratello di un mio amico possedeva un guantone, con cui forse aveva giocato da qualche parte o che gli era stato regalato da qualche giocatore. Fatto sta che mi sono innamorato di quell'oggetto quasi a livello feticistico, tanto che arrivai scambiarlo con un mio gioco e me ne impossessai. Poi una mia fidanzatina dei tempi del liceo, che leggeva regolarmente i Peanuts, vedendo il guantone mi disse: perché non andiamo a giocare a baseball? Io non sapevo nemmeno da che parte cominciare, ma alla fine ci organizzammo con qualche amico e cominciammo ad esibirci al Parco Lambro, qualcuno possedeva un altro guanto, altri venivano con i guanti da sci, e così via. Poi un giorno uno di noi scoprì che esisteva un campo al Saini e così mi presentati dal custode per affittarlo un paio d'ore. Pensavo che si potesse fare come con i campi di calcio. E invece mi dissero che potevano affittarlo soltanto le squadre affiliate alla federazione. Ma se pago, gli dissi… Niente, la regola era insormontabile. Così decido di fondare una squadra e vado al comitato dove trovo un signore che mi dice: ma voi siete tutti nuovi del baseball? Allora ve lo sconsiglio… Insomma, un bel modo per reclutare nuovi adepti. Ma, mentre mi lamento, spunta un altro signore che mi dice: se proprio vuoi giocare vieni sul mio campo. Sì, e dove? A Lodi: vieni lì domenica e dici che te l'ha detto Ciccio… Era Ciccio Roda, fantastico!".
In quasi trent'anni che cosa ti ha dato il baseball?
"Tante emozioni. E poi il piacere di stare sul prato, all'aria aperta, con tanti amici. Il prato per me è bellissimo, è il mio ambiente, anche se soffro di allergia, che è tutto dire. Ma quando sono in mezzo a un prato mi sento realizzato. E poi ho provato situazioni indimenticabili, come quella settimana passata allo spring training degli Atlanta Braves. Mi dicevo: ma io sono un suonatore, che cosa ci faccio qui? Al mio posto dovrebbe esserci qualche giocatore di serie A… Onestamente il baseball mi ha dato anche tante incazzature, ho dovuto lottare tanto con il Comune. Uno che fa il bassista non si rende conto che esistono gli assessori, poi li incontri e scopri che c'è gente che non sa nemmeno che cos'è lo sport. Adesso però Chiara Bisconti mi piace, è una decisionista. Le ho detto: facciamo un campetto al Forlanini e lei me l'ha realizzato. Così può andare a giocarci anche chi non è tesserato…".
Insomma, hai ribaltato la situazione in cui ti sei trovato tu tanti anni fa. Ma Faso, invece, che cosa ha dato al baseball?
"Con umiltà credo di avere spiegato tante volte le regole in televisione, prima su Telepiù e poi su Sky. Magari ho annoiato un po' il pubblico competente continuando a ripetere che cos'è uno strike e che cos'è un ball… Ma forse ho aiutato questo sport ad uscire da un target di super specializzati, andando ad acchiappare anche chi non lo conosceva. E poi, nella mia breve esperienza di consigliere federale con Everardo Dalla Noce, ho lottato per togliere quelle regole che impedivano ai ragazzini stranieri di giocare oltre la categoria Ragazzi. Un'assurdità che adesso finalmente è stata eliminata, perché se arriva un ragazzino giapponese deve avere il diritto di poter giocare come gli italiani. In fondo è un ragazzo che cresce nel nostro vivaio,mica arriva dalle Major league…".
Tu sei mister Ares per eccellenza, ma nella tua storia c'è anche quella parentesi che ti ha legato al Milano, attraverso la fusione. Come hai vissuto quell'esperienza che poi è sfociata nella seprazione? In fondo quegli anni ti hanno portato a giocare al tuo massimo livello, in serie A2, e hai dimostrato anche di non sfigurare…
"Io ero felicissimo di poter realizzare quel progetto che infatti ci portò a giocare in A2 per un paio di stagioni, anche se purtroppo quei due anni sono quelli in cui ho giocato peggio, avevo altri impegni e poi sono diventato papà proprio allora e la cosa mi ha un po' distratto. L'anno precedente, invece, quando arrivammo a giocare i playoff della serie B contro il Sanremo, fu la mia miglior stagione: quell'anno volevo capire fin dove poteva arrivare un ragazzo che aveva cominciato a giocare a 18 anni. Mi ricordo che mi allenavo come un professionista, ogni giorno facevo un centinaio di battute nel cortile di casa e facevo impazzire la portinaia. Infatti nel 2000 ho chiuso con oltre 400 di media e credo di aver fatto appena un errore in difesa. E pensavo: se avessi cominciato da piccolo… Comunque anche in serie A2 alla fine potevo starci… Insomma, quegli anni col Milano sono stati una bella esperienza per il livello di gioco ma mi hanno fatto capire che a Milano degli sport minori non gliene frega niente a nessuno. Qui pensano solo alla moda di corso Como e a San Siro".
Il progetto di fusione Milano-Ares in un certo senso si ripropone adesso con la franchigia milanese, che tra l'altro si è allargata. Tu come la vedi?
"Mah, io vedo in genere che c'è un ritorno di energia anche qui da noi. Forse si è capito che era uno sport troppo invecchiato, soprattutto in campo. E adesso si dà più spazio ai giovani. Lo vedo nella mia squadra, ma anche in altre, come il Codogno per fare un esempio. Il problema più grande in Lombardia è che a lungo ognuno ha guardato il proprio orticello, invece c'è bisogno di aprirsi. Credo che la spinta in questo senso possa partire proprio dai settori giovanili. Siamo una delle poche regioni che non organizza tornei: perché in estate, ad esempio, non mettiamo assieme cinque giocatori del Milano, tre dell'Ares, quattro del Bollate e li facciamo giocare anche in quei mesi? In ottobre, grazie ai Soldi che hanno messo a disposizione il campo di Ospiate, ho organizzato la prima alla star della categoria Ragazzi: ogni società ha mandato i suoi migliori ed è certamente un esperimento da ripetere".
Torniamo al Fasani giocatore: qual è la tua partita indimenticabile?
"Diverse… Ma in particolare ne ricordo una proprio del 2000: il sabato sera ero a suonare a Roma ma non volevo mancare al doppio incontro della domenica, ci ho sempre tenuto ad essere presente il più possibile. Così finito il concerto mi sono messo in auto, non esisteva ancora l'alta velocità, e sono arrivato a Milano alle 6.30 in tempo per fare la borsa e andare al Saini per giocare. E in quel doppio incontro, con l'Oltretorrente mi pare, ho battuto 6 su 9 con un doppio e un triplo… Così pensai che per giocare bene non dovevo più dormire…"
E la partita da dimenticare?
"Una finale di coppa Italia di serie B, contro una squadra marchigiana… ma l'età non mi consente di ricordare il nome. So che stavamo vincendo di un punto all'ultimo inning e abbiamo perso la partita per una palla che il nostro esterno centro, Testa, non è riuscito a prendere nonostante un gran tuffo. Peccato".
Chi è stato l'allenatore che ti ha dato di più?
"Beh non posso dimenticare il primo, che è stato Tullio Turci e ci ha praticamente insegnato il gioco. Poi Osvaldo D'Odorico, un superallenatore e un grande amico: lo ringrazio sempre tanto. Con lui abbiamo vissuto dei momenti veramente di livello. Era uno che non si dava mai per vinto; una volta non ci diedero le chiavi del magazzino del Saini per prendere il materiale e lui ci fungò con un manico di scopa… Ma devo ricordare anche Gigi Cameroni, che è stato allenatore dell'Ares per un solo anno ma ci ha dato tanto, anche se alla fine aveva diviso in due la squadra. Gigi era un bel rompiballe, glielo direi ancora oggi e lui certo riderebbe, ma è stato un grandissimo. Ho ancora un ricordo bellissimo di quando lo chiamai pochi giorni prima che entrasse nella sala operatoria che poi gli fu fatale: voleva ricordarmi che c'era la festa dei 60 anni del Milano e ci teneva che io ed Elio ci andassimo. Io gli dissi che doveva esserci anche lui, ma era molto preoccupato per quell'intervento… Però trovò il modo di chiedermi se nel weekend avevo giocato e quanto avevo battuto… Di Gigi ho un altro ricordo che dice tutto del personaggio: un giorno gli telefonai per chiedergli di fare un po' di allenamento extra e lui mi disse: a che ora dobbiamo essere in campo oggi? Alle 17.30 gli dissi. Allora vieni al campo alle 2. Io rimasi sorpreso: tre ore e mezzo di allenamento extra mi sembravano un po' troppe… E lui: se vuoi migliorare…"
Quando hai iniziato a giocare avevi un idolo?
"Andavo a vedere le partite del Bkv Milano ed ero impazzito per Passarotto, il lanciatore con i baffi. Mi sembrava straordinario".
Il compagno di squadra ideale?
"Berni. Alessandro Bernasconi, siamo ancora amicissimi e con lui ci siamo divertiti come dei pazzi".
Il campo preferito?
"Ho sempre giocato delle grandi partite a San Pancrazio, sul campo dell'Oltretorrente. Il campo in cui non mi sono mai trovato, invece, è Bollate".
La trasferta più bella?
"A Palermo, quando eravamo in serie A2 con il Milano: ho visto un campo veramente depredato dai predoni che avevano portato via tutto, porte, lavandini e water… Ma noi avevamo fatto una trasferta in aereo, tutti vestiti uguali, mi sembrava di essere un professionista…".
Facciamo la squadra ideale di quelli che sono stati i tuoi compagni in tutti questi anni?
"Certamente. Ricevitore Ilario Quisini, in prima io, in seconda Bernasconi, interbase Francesco Banfi, che adesso gioca nello United e allora era un giovane promettente, in terza Fabio Casiraghi. Esterno sinistro l'altro Casiraghi, Marco, al centro Matteo Pericoli, per mettere insieme epoche diverse, a destra uno dei fondatori dell'Ares, Ivan Tomassi. E lanciatore Daniele Di Pillo. Ne dovrei mettere altri cinque o sei nel dugout, ma ho scelto questi perché soprattutto erano tutti amici".
C'è una squadra in cui ti sarebbe piaciuto giocare?
"Nel Lodi, per rispetto alla grande passione di Ciccio Roda come allenatore. E poi a Lodi c'era un clima che mi piaceva. E c'erano delle salamelle fantastiche…"
Il miglior lanciatore italiano?
"Nel nostro campionato il pitcher che mi ha colpito di più è stato Joel Lono, che ho visto bene qui a Milano. Tra gli italiani direi Cabalisti, anche perché il Caba è un amico. E poi ho visto delle immagini di un grandissimo del passato come Glorioso, che aveva giocato anche a Milano con Cameroni".
E il battitore?
"Se dico Bianchi non penso di sbagliarmi. Poi Castelli, non l'ho mai visto giocare ma Sal Varriale mi dice sempre che poteva arrivare in Major league. Ma poi chissà quanti non ne ho visti…"
I tre personaggi simbolo del baseball italiano?
"Difficile dirlo. Penso a Sal Varriale, uno che si è occupato solo di baseball da quando è uscito dalla mamma… Penso a Beneck che non ho conosciuto ma ha fatto grandi cose per questo sport. Ma non vorrei offendere nessuno, c'è troppa gente che non ho conosciuto. Glisso su questa domanda…".
C'è uno sportivo che ti è sempre piaciuto?
"Beh qualche grande personaggio degli anni Settanta-Ottanta. Penso a James Hunt. Penso a tennisti storici come McEnroe. O Jimmy Connors: di lui ricordo che aveva sposato un'attrice che aveva posato nuda su Playboy. E nelle pagine precedenti c'era un pezzo in cui Connors diceva: quando avete finito questa intervista gustatevi mia moglie…. Grandissimo. E invece nel baseball sono sempre stato tifoso di Ozzie Smith, con quel salto mortale che faceva sempre prima di entrare in campo".
E tifi per qualche squadra in particolare?
"No, io sono un tifoso del momento. Se vedo una partita, di qualsiasi sport, decido nell'occasione da che parte stare… ".
Auguri Faso, altri 50 di questi anni. Sempre sul palco anche nel baseball.

Elia Pagnoni

Nato a Milano nel 1959, Elia Pagnoni ricopre attualmente il ruolo di vice capo redattore dello sport al quotidiano "Il Giornale", dove lavora sin dal 1986. E' stato autore di due libri sulla storia del baseball milanese.

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