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Chen Kai Sheng e il mio Mondiale under 12

Quando sono sceso in campo dopo la finale del Mondiale Under 12, mi guardavo intorno e non potevo crederci: c’erano veramente 8.000 persone sugli spalti a festeggiare la finale di un torneo giocato da bambini nati nel 2007. Per intenderci: questi giocatori sono più giovani del World Baseball Classic.

Non mi sento a mio agio a intervistare un atleta bambino. Figuriamoci se parla solo Cinese. Con Chen Kai Sheng però dovevo parlare per forza. Aveva lanciato da partente la finale del Mondiale Under 12, tenendo a zero il Giappone e aggiungendoci anche un fuoricampo. Per fortuna ho trovato un video maker americano di origine cinese e ho potuto parlare con Chen. Che di suo, sembrava terrorizzato. E neanche tanto consapevole di quello che era successo.

“Da quando gioco a baseball, è il primo torneo che vinco” ha detto, guardandomi per un attimo e poi rispondendo di fatto alla telecamera.

Come inizio, non c’è male. L’ho pensato, ma a lui ho chiesto da quanto giocava. E quando mi ha risposto “2 anni” ho considerato chiusa l’intervista. Perché la risposta di Chen Kai Sheng mi spazzava via decenni di luoghi comuni del nostro baseball. Tutta la tiritera del “ma loro imparano da quando sono nella culla, giocano tutti i giorni, 300 partite all’anno, i nostri fanno anche troppo”.

Chen non è un fenomeno. Anche fisicamente, non fa l’impressione del cubano Christian Saez, che si staglia a 1.82 per quasi 90 chili e sembra il padre di molti suoi compagni e avversari. Chen è solo doti fisiche, talento e applicazione. Perché poi il baseball non è mica così difficile come lo fanno. Se ti applichi, cresci. Se no, ti racconti storie.
Io lo so: sul campo, mi sono sempre applicato poco. Poi sono restato nel baseball. Per raccontare storie, appunto.

Sia chiaro: sono perfettamente consapevole del fatto che Chen e i suoi compagni, assieme a tutte le prime 7 squadre classificate al Mondiale Under 12 che si è chiuso il 5 agosto, rispetto a noi giocano un altro sport. Al momento davvero non c’è confronto: oltre che più talentuosi, sono più veloci e più preparati.

Sul più talentuosi, non c’è ovviamente da discutere. A Taiwan o negli USA o Cuba o Giappone o Messico o Corea la base di scelta è infinitamente più grande. Non ci sarà mai confronto. Essere più veloci rientra nelle doti fisiche. Che si possono migliorare, ma i miracoli non li fa nessuno. E’ sull’essere “più preparati” che vorrei discutere.

In decenni (proprio così…ma com’è che una volta ero il più giovane??) di baseball internazionale, posso contare sulle dita di una mano le Nazionali azzurre che hanno fatto il massimo. Forse la Nazionale di baseball più continua che io ricordi resta quella dell’Europeo del 2012. Anche campagne di grande successo come l’Intercontinentale 2010 (prestazione da dimenticare con la Tailandia, vittoria decisiva ai supplementari contro Nicaragua con un grande slam) e il World Baseball Classic 2013 (una serie di errori difensivi nelle partite decisive) qualche rimpianto lo avevano pur lasciato.

Le Nazionali giovanili italiane che ho visto in giro per il mondo, mi hanno sempre lasciato perplesso. E quest’ultima Under 12 non fa eccezione.

Quando ho condiviso questo mio punto di vista sui social media, mi è stato risposto che nei tornei giovanili “il risultato non conta”.

Questo, vi chiedo, che dobbiamo andare a un Mondiale per perdere? E se non conta, con che parametro valutiamo la spedizione? Su quanto abbiamo speso al diutifri dell’aeroporto?

Se il risultato non conta, la FIBS ha un’alternativa: dirci che le Nazionali giovanili sono un premio. Quando ci si qualifica per un Mondiale, si corona una fase della propria vita e si volta pagina. Poi, chi vince non è un nostro problema.

Io penso che il risultato conti eccome. Ma non tanto il computo delle partite vinte e perse. Piuttosto, il come le si sono vinte e le si sono perse. Perché sarà anche una soddisfazione seppellire di punti le Fiji o il Sud Africa. Ma noi siamo l’Italia, investiamo risorse ingenti (sono sicuro che USA Baseball sarebbe stupita, se ci venisse a fare i conti in tasca) e giochiamo a baseball da 70 anni. Abbiamo una Nazionale Ragazzi (prima era Under 13, ma cambia poco) da 25 anni.

Le Fiji, sono una selezione di 8 scuole. I giocatori del Sud Africa, fanno delle raccolte fondi per viaggiare.

Noi siamo l’Italia e non ci sta, che non troviamo mortificante beccare 28 punti dagli USA. Sarebbe un risultato inaccettabile anche se giocassimo contro Marte.

Comunque, tranquilli: il baseball di suo sta bene. Mentre noi continuiamo a raccontaci che “bisogna giocare di più” e che, se non succede, sarà pur colpa della Federazione, il resto del mondo va avanti.

Personalmente, in meno di 3 settimane sarò in Corea per il Mondiale Under 18. L’Italia no.

Riccardo Schiroli

Nato nel 1963, Riccardo Schiroli è giornalista professionista dal 2000. E' nato a Parma, dove tutt'ora vive, da un padre originario di Nettuno. Con questa premessa, non poteva che avvicinarsi alla professione che attraverso il baseball. Dal 1984 inizia a collaborare a Radio Emilia di Parma, poi passa alla neonata Onda Emilia. Cresce assieme alla radio, della quale diventa responsabile dei servizi sportivi 5 anni dopo e dei servizi giornalistici nel 1994. Collabora a Tuttobaseball, alla Gazzetta di Parma e a La Tribuna di Parma. Nel 1996 diventa redattore capo del TG di Teleducato e nel 2000 viene incaricato di fondare la televisione gemella a Piacenza. Durante la presentazione del campionato di baseball 2000 a Milano, incontra Alessandro Labanti e scopre le potenzialità del web. Inizia di lì a poco la travolgente avventura di Baseball.it. Inizia anche una collaborazione con la rivista Baseball America. Nell'autunno del 2001 conosce Riccardo Fraccari, futuro presidente della FIBS. Nel gennaio del 2002 è chiamato a far parte, assieme a Maurizio Caldarelli, dell'Ufficio Stampa FIBS. Inizia un'avventura che si concluderà nel 2016 e che lo porterà a ricoprire il ruolo di responsabile comunicazione FIBS e di presidente della Commissione Media della Confederazione Europea (CEB). Ha collaborato alle telecronache di baseball e softball di Rai Sport dal 2010 al 2016. Per la FIBS ha coordinato la pubblicazione di ‘Un Diamante Azzurro’, libro sulla storia del baseball e del softball in Italia, l’instant book sul Mondiale 2009, la pubblicazione sui 10 anni dell’Accademia di Tirrenia e la biografia di Bruno Beneck a 100 anni dalla nascita. Dopo essere stato consulente dal 2009 al 2013 della Federazione Internazionale Baseball (IBAF), dal giugno 2017 è parte del Dipartimento Media della Confederazione Mondiale Baseball Softball (WBSC). Per IBAF e WBSC ha curato le due edizioni (2011, 2018) di "The Game We Love", la storia del baseball e del softball internazionali.

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