Dopotutto, non si gioca nemmeno l’All star game della Major league e non era mai accaduto dal 1945. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno si potrebbe citare questa decisione che passerà alla storia del batti e corri d’oltre oceano. Solo che siamo in Italia, non abbiamo e non avremo mai un movimento nemmeno lontanamente all’altezza della Major, e vedere un campionato senza una squadra di Nettuno dopo 70 anni fa male. Già avevamo dovuto abituarci a vederlo senza “il” Nettuno, quello dei 17 scudetti poi contesi, ma senza la città del baseball nessuno lo avrebbe immaginato. Per questo il bicchiere è indiscutibilmente mezzo vuoto e chi ha contribuito a svuotarlo tra liquidazioni, fallimenti, personalismi, giocatori di proprietà, è sempre in prima fila.
C’era una volta il grande Nettuno, quindi, quello di un movimento giovanile che ambiva a finire in prima squadra per giocare nella società più blasonata d’Italia. C’era un Nettuno capace di creare giocatori che hanno fatto la storia, annate straordinarie, un mix di esperti e ragazzi che da quando è tornato a vincere lo scudetto – nel ’90, dopo 17 anni di astinenza – è sempre stato protagonista. Quello scudetto manca, adesso, da 19 anni (battuto il precedente record già lo scorso anno) ma pochi sembrano farci caso. Presi, appunto, da vicende societarie più che dall’obiettivo di portare “a Nettuno l’amato scudetto”, come vuole una canzone dei tifosi. Sì, quelli che il “Borghese” lo riempivano. I tifosi che staranno rivoltandosi nella tomba, come il “Cittadino” (al secolo Rolando Belleudi) che ai lanciatori chiedeva di tirare “pallacce” o “Puci Puci” (Mario Sanges) che con un tamburo incantava le migliaia di persone che andavano al vecchio stadio. O i tifosi che sono stati capaci di esserci anche un anno fa, quando era finita l’illusione Pillisio (altro capitolo delle scellerate questioni societarie) e contro il Bologna andarono in campo persino gli allenatori pur di onorare l’impegno e la maglia.
L’inizio della fine c’era stato prima, quando anziché unirsi le realtà si dividevano, quando si è arrivati a giocare un derby in A1 e invece – mettendo insieme i giocatori di entrambe – si sarebbe dominato il campionato. E prima ancora, quando i conti non tornavano e si nominavano liquidatori venezuelani a far chiudere le società ma si continuava ad andare in campo cambiando nome, ma senza lo sponsor – nauseato – che aveva permesso molto di quei successi. Ha ragione il sindaco, Alessandro Coppola: “Ha perso Nettuno, hanno perso i nettunesi” . Ma la rinuncia alla rinuncia da parte del Nettuno 2 sarebbe stata un’ulteriore beffa per un movimento – quello italiano – che ha già perso massima parte della sua credibilità. Senza contare che il “City” aveva già detto stop, pare per un accordo con lo stesso Nettuno 2 per salvare capra e cavoli. Inutilmente
Non c’è dubbio, a Nettuno le giovanili ci sono ancora – anche se faticano molto rispetto al passato a dominare (nel 2019 nessun titolo italiano, ad esempio) – e in serie A2 c’è il Nettuno 1945 che ha fatto uno squadrone, si è preso con poche migliaia di euro i titoli sportivi della squadra che ha incantato l’Italia, e aspira a essere protagonista nella massima serie ma ormai l’anno prossimo. Senza dimenticare che di mezzo c’è stato un fallimento sancito dal Tribunale, dalle ceneri del quale è nato “in continuità” – come dice il Consiglio federale – proprio il “1945”.
No, non può essere mezzo pieno il bicchiere solo perché la Major non gioca l’All star game. Semplicemente perché è come se si levassero a quel campionato gli Yankees. Altro mondo, non c’è dubbio, ma senza la città del baseball non ci si era mai stati in A1. E questa mesta fine non può essere attribuita ad altri che ai protagonisti – tutti – che a Nettuno ancora pensano di avere la ricetta giusta.
C’era una volta Nettuno, inizierebbe una qualsiasi favola per bambini, ma il finale non potrebbe essere diverso da un: tutti vissero infelici e scontenti.
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