Se ho avuto un merito come cronista di baseball, è stato certamente l’aver aggiustato la narrazione su quel che è successo a livello internazionale negli anni ’80 del secolo scorso. Stando alle cronache di regime in italiano, Robert Smith aveva usurpato la presidenza della Federazione Internazionale di baseball. Che sarebbe spettata a Bruno Beneck.
“Bruno era una brava persona” mi disse Smith davanti a una fetta della memorabile torta al cioccolato di sua moglie Jean nell’autunno del 2011. “Non posso dimenticare che scrisse lettere in tutto il mondo per spiegare come io non fossi degno della carica di presidente. Ma allo stesso tempo, non posso dimenticare che nel 1984 al Congresso di Cuba mi prese da parte e mi disse che si era comportato male con me. Ci vuole una persona vera, per fare una cosa del genere”.
Stavo lavorando a “The Game We Love”, il libro sulla storia del baseball internazionale, e Smith aveva accolto me e il fotografo Ezio Ratti presso la sua abitazione di Greenville, Illinois. Sbarcammo a St. Louis, che è nel Missouri ma è l’aeroporto più comodo per arrivare a Greenville, direttamente dal Mondiale IBAF di Panama. Ero in contatto con Smith da un anno e avevo iniziato a sospettare che non fosse quel personaggio da poco che le cronache nostrane di 30 anni prima mi avevano presentato.
Smith ci accolse al nostro albergo. La prima cosa che fece fu smontare il mio entusiasmo per la presenza di bisonti che pascolavano nei campi vicini. Mi spiegò che erano ibridi tra bisonte e mucca, allevati per la carne: “Ci sarà il contadino, qui da qualche parte”.
Andando in auto verso casa sua, passammo dal Greenville College. Trasalii notando che il campo da baseball si chiamava Robert Smith. Con modestia, ci spiegò che era stato lui ad avviare il programma del baseball nel 1961 e che era poi diventato il presidente del College nel 1993, subito dopo aver lasciato la presidenza della Federazione Internazionale.
Torniamo alla presidenza e a Beneck. Smith, da giovane presidente della Federazione USA, aveva garantito a Beneck il voto per la presidenza della allora AINBA (Associazione Internazionale Baseball Dilettanti in Spagnolo) in vista del Congresso 1980. Arrivato a Tokyo, venne messo al corrente del fatto che né i Paesi asiatici né quelli del Centro America e isole caraibiche, che allora avevano un peso politico considerevole, intendevano votare Beneck. Gli asiatici erano contrariati dal modo di fare campagna elettorale del vulcanico italiano. I Paesi di lingua spagnola avevano il loro candidato in Osvaldo Gil (Portorico).
In verità, il candidato che avrebbe messo d’accordo tutti era Carlos Garcia (Nicaragua), ma sfortunatamente in Giappone non era mai arrivato. All’aeroporto lo avevano arrestato i sandinisti. Garcia, un detective della Guardia Civil, era accusato di essere un agente della CIA. Addirittura, secondo i rivoluzionari era il principale addestratore dei contras, le truppe irregolari che si opponevano al nuovo governo. Garcia si sarebbe fatto 10 anni di galera, negando sempre ogni addebito. Mi disse al telefono addirittura: “Chi mi conosce lo sa, non ho mai fatto politica”. A oggi, in Nicaragua a parlare della vicenda c’è imbarazzo. Come stavano veramente le cose, non lo sapremo mai.
In quei giorni del 1980 l’idea fu di eleggere comunque Garcia, sperando che questo portasse alla sua liberazione. Certo, nel frattempo sarebbe servito un primo vice presidente in grado di governare la AINBA e Beneck pensava di essere la persona giusta. Secondo il Congresso invece la persona giusta era Smith. La reazione di Beneck fu tempestosa. Prese il microfono e disse chiaro che lui aveva dedicato più tempo al baseball internazionale di quanto Smith ne avesse passato in vita.
Nel 1981, quando era ormai chiaro che Garcia non sarebbe stato rilasciato, il Congresso AINBA ebbe la bella idea di confermare Smith come presidente e di dare a Beneck la carica di primo vice presidente.
Al Congresso 1984 Beneck venne fatto clamorosamente fuori da tutte le cariche e nell’Esecutivo dell’organismo, nel frattempo divenuto Associazione Internazionale Baseball (IBA), l’Italia si trovò rappresentata da Aldo Notari. La carriera di Beneck stava crollando come conseguenza dello scandalo seguente la partecipazione della Nazionale alle Olimpiadi e ai conti che portarono il CONI a Commissariare la FIBS.
Le Olimpiadi erano state per la verità un clamoroso successo. Smith aveva coinvolto il proprietario dei Dodgers Peter O’Malley, che aveva garantito contro le possibili perdite e convinto il presidente del Comitato Organizzatore Peter Ueberroth a inserire il baseball come sport dimostrativo. Il baseball aveva fatto il resto, attirando 385.000 spettatori, 48.000 di media a partita.
Smith è stato un grande presidente. Anzi, come lo ha definito la stampa dell’epoca, è stato “il più grande lobbista che il baseball abbia mai avuto”. Piaceva a tutti, incluso Fidel Castro, che lo invitò allo stadio ‘LatinoAmericano’ de l’Avana. E compreso, soprattutto, Juan Samaranch, il presidente del CIO.
Samaranch convinse Smith a fare un accordo con Don Porter, presidente della Federazione Internazionale Softball, per presentare una candidatura unica, che potesse portare baseball maschile e softball femminile ai Giochi. Il progetto di una Federazione Mondiale di baseball e softball crollò quando il 13 ottobre 1986 il baseball venne ammesso come sport da medaglia e il softball subì un voto contrario. Come sappiamo, si realizzerà solo nel 2013, quando Riccardo Fraccari riuscirà a convincere proprio Don Porter, rimasto in carica fino ad allora.
Robert Smith ci ha lasciati il 18 agosto 2021. Aveva compiuto 85 anni a maggio. Era vedovo dal 2018. Lo avevo sentito l’ultima volta quando gli avevo inviato qualche copia della seconda edizione di “The Game We Love”. Mi aveva scritto che se lo era letto tutto nella caffetteria adiacente “quel posto dove ci sono i bisonti che ti piacevano tanto”.
Fino all’ultimo giorno Smith aveva lavorato per la “Fellowship of Christian Athletes”, una associazione non profit di Kansas City, Missouri, che utilizza l’influenza di coach e insegnanti per fare proselitismo cristiano tra gli studenti/atleti.
Smith era nato in Texas ed era un fervente credente. Da presidente del Greenville College aveva introdotto una regola per cui gli studenti che ricevano una borsa di studio dovevano sottoscrivere l’impegno a non bere e non fumare.
Sotto la sua presidenza il baseball internazionale ha fatto le prime assunzioni di personale, ha iniziato a pubblicare una rivista, ha creato il programma “Honors” che assegna ogni anno i premi individuali e che la WBSC tuttora utilizza. Ha inoltre varato i Mondiali U-16 e U-18 e firmato il primo contratto di sponsorizzazione con la Rawlings.
Se non ci fosse stato Ish Smith, insomma, il baseball internazionale come lo conosciamo non esisterebbe. Come mai lo chiamassero Ish, me lo spiegò a cena in un ristorante messicano. A scuola in Texas in bambini si erano inventati una lingua che chiamavano “Dog Latin” o “Pig Latin”. In quella lingua, il suo nome suonava più o meno come Ishmael. Che venne poi accorciato in Ish.
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