Serie A

Godo, parla l’ex-manager Stefano Naldoni

Da manager a potenziale hitting-coach, Stefano Naldoni ha lasciato un’impronta indelebile nel Godo Baseball. In questa intervista, riflette sui suoi traguardi, condivide le sue esperienze e svela le sue prospettive per il futuro.

Hai guidato Godo nelle ultime tre stagioni, contribuendo significativamente ai suoi successi. Riflettendo su questo periodo, quali consideri i momenti più memorabili alla guida della squadra?

Più che momenti in particolare, su cui tendo a non concentrarmi troppo in quanto fugaci per loro stessa natura, la conquista che mi inorgoglisce maggiormente è l’aver raggiunto i playoff in ogni singola stagione, nei 3 anni in cui ho guidato la squadra. Impresa che, aggiungo, non è mai riuscita a nessun altro in 60 anni di vita del club, a prescindere dalla formula del campionato o da qualunque altra considerazione. Non esiste – a mio avviso – un miglior termometro della qualità di uno sforzo corale i cui risultati, oltretutto, sono sempre andati in crescendo.

Durante il tuo mandato, hai avuto un ruolo importante nello sviluppo dei giovani talenti. Quali strategie o filosofie hai applicato per promuovere la crescita dei giocatori più giovani all’interno del Godo Baseball?

L’impiego dei giovani sul campo è stato deciso anche in base agli obiettivi e alle linee guida della società, oltre che per soddisfare necessità di contingenza. Abbiamo cercato di dar loro lo spazio necessario ad uno sviluppo graduale e costante – oltre che una formazione fisica e tecnico-tattica di livello – che, si spera, già da quest’anno li aiuteranno a guadagnarsi ruoli di rilievo sempre maggiore all’interno della formazione godese.

Il nuovo manager del Godo, Iday Abreu, era già parte dello staff tecnico della squadra e pertanto al corrente delle dinamiche e delle criticità che la caratterizzavano. C’è comunque qualcosa in particolare che hai imparato durante la tua esperienza che ritieni possa essere preziosa per Iday nel guidare la squadra verso il futuro?

Il problema di questa società non consta di una scarsa preparazione fisica o tecnica. La chiave di volta per la rivoluzione è da ricercare, a mio avviso, in ambito mentale e comportamentale: aspetti senz’altro ostici da curare in un mare dagli spesso labili confini come quello del “semi-professionismo” in cui nuota il baseball italiano, oltre che per la stessa natura umana. Bisogna mettere in atto un cambiamento “culturale”, prima che organico, e non sarà un’impresa facile. Confido però che l’esperienza, l’attenzione e la mente analitica di un professionista come Iday gli permetteranno di attaccare con grande cognizione di causa anche queste e altre criticità.

Stai valutando la proposta di proseguire la tua collaborazione con il Godo Baseball in veste di hitting-coach. Cosa influisce su questa decisione e quali contributi specifici ritieni di poter offrire in questo ruolo?

La proposta del Godo di ricoprire un ruolo di minor responsabilità sul campo mi ha permesso di concentrarmi su altro, tra vita privata e una formazione in ambito sanitario emergenziale il cui percorso è lungo e impegnativo. La mia priorità, al momento, è cercare di accorciarne i tempi il più possibile. Ancora non ho certezze sul se e sul come si concretizzerà una mia eventuale collaborazione col Godo. La società, ne sono certo, sarebbe perfettamente in grado di camminare con le proprie gambe lo stesso, anche se non dovessimo raggiungere nessun tipo di accordo. Staremo a vedere.

 

Redazione

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