NCAA

Vincent Cimini, uno Yankee a Boston

Ottobre, oltre ad incoronare campioni in MLB i Los Angeles Dodgers, ha visto il Team Italia proseguire nel suo avvicinamento al prossimo World Baseball Classic e alle più lontane Olimpiadi di Los Angeles 2028 con l’Olympic Camp riservato ad un nutrito gruppo di giovani talenti italiani impegnati in esperienze di College o a livello professionistico integrati da “senatori” azzurri e alcuni oriundi. La prima parte di questo stage riservata in particolare a lanciatori e ricevitori si è svolta a Surprise, in Arizona, nelle strutture de i Kansas City Royals e quindi si è passati con tutto il gruppo al completo a Tampa, in Florida, appena colpita dall’uragano Milton, ospiti della locale università campione della NCAA Division II contro cui si sono disputati due incontri chiusi con una sconfitta ed una vittoria per la nostra rappresentativa

Di questa ultima fase di avventura ha fatto parte anche Vincent Cimini, giovane e talentuoso interno che gioca in NCAA con Boston College che, lo scorso anno, ottenuto il passaporto italiano, ha giocato brevemente con i Grizzlies Torino e quindi si è unito alla spedizione Azzurra Under 23 agli Europei di categoria in Austria. Ora il sogno è indossare la casacca dell’Italia a Los Angeles 2028 quando il baseball tornerà nel programma olimpico.

Nativo di Scranton (Pennsylvania), Vincent con chiare origini Italiane, nonno nativo della provincia di Frosinone, si è distinto nella sua carriera al Boston College che gioca nella NCAA Division I all’interno della super competitiva Atlantic Coast Conference e nel suo prossimo ultimo anno di eleggibilità aspira a trascinare i suoi Golden Eagles al torneo finale NCAA.

Ecco Vincent Cimini in esclusiva per Baseball.it reduce dall’Olympic Camp a Tampa, in Florida, con il Team Italy.

Vincent, partiamo dall’attualità e quindi dalla tua esperienza a Tampa con il Club Italia La 28. Come ti sei trovato con il manager Mike Piazza, lo staff ed i compagni e quale momento ti è rimasto più impresso nella mente?

Mi sono da subito trovato bene con tutto lo staff e l’entourage della Nazionale che è sempre stato incredibilmente disponibile con me. Tutto l’ambiente ha una visione chiara di cosa serve al baseball italiano per crescere e si stanno affidando ad un grande sistema di supporto negli Stati Uniti. Mi considero fortunato ad essere stato incluso in questo percorso non solo di crescita personale a livello di gioco, ma anche con l’obiettivo di vincere a livello internazionale. L’esperienza a Tampa è stata fantastica e la considero una delle più importanti nella mia carriera di giocatore. Il momento più emozionante? Fuori dal diamante di gioco quando con i miei compagni siamo andati a dare una mano nelle strade di Tampa alle tante persone colpite dal recente uragano Milton. Io sono fra i pochi americani della squadra ed ha significato molto per me vedere tutti i miei compagni mettere a disposizione il loro tempo e sforzi per aiutare i miei connazionali.

 Lo scorso anno hai ottenuto la doppia cittadinanza ma ti chiedo qualcosa di più sulle tue origini e su come sei venuto a contatto con il baseball italiano

Mio nonno Vinicio era originario di Patrica, in provincia di Frosinone e a 19 anni è emigrato negli Stati Uniti, prima a Detroit e poi a Scranton dove ha conosciuto e sposato mia nonna. Nel 2021 mio padre venne contattato da Gianmarco Faraone che mi chiese se avevo cittadinanza italiana e se volevo giocare per la Nazionale di baseball. Sulle prime pensavo ad uno scherzo e conoscevo poco del baseball italiano se non il manager, il grande Mike Piazza, un idolo per tutti gli italo-americani. Da lì è iniziata una complicata trafila burocratica e solo l’impegno di mio padre, avvocato, nel trovare la documentazione giusta ha permesso sia a me che a lui di ottenere la cittadinanza italiana. Grande merito quindi a mio padre che va molto fiero di questa conquista anche personale.

Quanto orgoglioso sei della possibilità di giocare per la Nazionale italiana di baseball e dopo l’esordio in MLB del lanciatore Samuel Aldegheri pensi ci possano essere buone prospettive per altri giocatori tricolori di fare il grande salto nel professionismo?

Rappresentare l’Italia prima agli Europei Under 23 in Austria e quindi al Camp LA28 a Tampa è stato realizzare un sogno, non riesco a descrivere a parole cosa ha significato rappresentare la mia famiglia e le sue origini, la mia Università su un palcoscenico internazionale. Ricordo che durante l’esecuzione dell’inno nazionale in Austria prima dell’esordio contro la Francia avevo le lacrime agli occhi per l’emozione di indossare la casacca dell’Italia. Sono molto contento ed orgoglioso per Samuel ma in generale per tutto il movimento del baseball italiano e sono sicuro che questo è solo l’inizio e che molti dei miei compagni a Tampa hanno la possibilità di arrivare a quel livello con l’impegno ed il lavoro quotidiano.

In quest’ottica credi nell’utilità dell’esperienza, la College Pipeline, che ha permesso e permette tuttora ad alcuni giovani talenti del baseball italiano di continuare la loro crescita nella NCAA a differenti livelli e nei Junior College? Penso in particolare tra gli altri a Lorenzo Morresi e Samuele Bruno già tuoi compagni con la nazionale Under 23

Sicuramente si, e non perdo occasione per ricordare ai miei compagni il valore di giocare a baseball negli Stati Uniti specialmente a livello di College. Per chi ha l’obiettivo di raggiungere un giorno la MLB e nel contempo ottenere una laurea non ci sono dubbi che quella è la situazione migliore. Sono fiducioso che la FIBS con i suoi contatti riesca a mandare sempre più giocatori qui in America nei College. Lollo e Bruno hanno già messo in mostra le loro capacità sia a livello collegiale che internazionale e mi auguro che le loro performance possano contribuire ad aprire le porte ad altri giovani giocatori cresciuti in Italia.

Cosa pensi del livello del baseball giocato in Italia e che consiglio ti senti dare per farlo crescere ancora di più?

Sono rimasto favorevolmente impressionato da livello del baseball in Italia lo scorso anno durante la mia permanenza a Torino con i Grizzlies e con la Nazionale. Ho trovato ottimi coaching staff con esperienza e preparazione, giocatori che amano il baseball, si allenano duramente con grande passione e sacrifici rimanendo sempre aperti ai consigli. Ho notato anche che i lanciatori in Italia non usano quasi mai la fastball ma altri tipo di lancio non come in America. Secondo me il sistema è ottimo e per migliorare ancora l’unica via è giocare di più. Chiaramente il calcio è lo sport nazionale in Italia ed il baseball se si vuole almeno avvicinare deve diffondersi ancora di più fra i più giovani. Io mi sono innamorato del gioco in tenera età ed ho investito in questa passione tutto me stesso negli ultimi 20 anni. Bisogna cercare di favorire la nascita della scintilla della passione per il gioco nei giovanissimi e dopo non sarà la mancanza di squadre o le poche partite a spegnerla.

Cambiamo soggetto e veniamo alla tua esperienza al Boston College

Sono sicuramente gli anni più belli della mia vita quelli che sto passando al Boston College dove mi sto formando come uomo, studente e giocatore. Mi è stata data l’opportunità di continuare a giocare ad alto livello con compagni che rimarranno miei amici per sempre, ma ancora più importante ho imparato l’importanza del sacrificio e l’amore incondizionato per i compagni di squadra attraverso l’esempio di modelli quali Pete Frates, Sonny Nictakis e Welles Crowther (tutti ex giocatori di Boston College). Negli ultimi anni Boston College ha allargato i suoi orizzonti reclutando più giocatori internazionali e mi auguro che in futuro si possano vedere più italiani nel lineup dei Birdball.

 A proposito di Boston College, a breve giocherete le tradizionali Sonny Nictakis World Series, cinque giorni di partite in onore dell’ex-giocatore cui è dedicato l’evento. Ci puoi dire qualcosa di più sulla manifestazione che segna anche la fine dei vostri allenamenti autunnali?

Per farti capire Sonny Nictakis è nell’Olimpo del baseball al Boston College, è in cima al Monte Rushmore per tutti quelli affiliati a questo programma. Quando era capitano della squadra di baseball gli è stato diagnosticato il morbo di Hodgkin ma la sua tenacia ed attaccamento alla squadra erano tali che è arrivato a svolgere le sue terapie praticamente sul diamante per non perdere neanche un allenamento con i compagni. Nel mio anno da junior qui al Boston College ho avuto il grande onore di vestire la sua casacca numero 8 e questo è stato un continuo ricordo dei sacrifici e della determinazione da lui mostrata ogni giorno fino alla fine. In suo onore, giochiamo ogni anno una serie di partite intrasquad per ricordare il suo impegno e volontà di mettere tutto se stesso sul campo.

Chiudiamo parlando dei tuoi amati New York Yankees, cosa non ha funzionato nelle World Series?

Beh, sono un tifoso degli Yankees da sempre e vivendo da ormai 6 anni a Boston devo dire che sono abituato a sostenerli in mezzo ad un clima ostile. Anche sotto 3-0 nella serie non credevo insormontabile la montagna da scalare per arrivare alla vittoria finale, in fondo sarebbe bastata una striscia di 4 vittorie consecutive. Comunque è stata una grande stagione e con orgoglio indosso il simbolo degli Yankees qui a Boston.

 

Andrea Palmia

Andrea Palmia è nato a Bologna il 4 aprile 1968 e vive nel capoluogo emiliano con la moglie Aurora e la figlia Lucia di due anni. Laureato in Pedagogia con una tesi sperimentale sui gruppi ultras, lavora dal 1995 come educatore professionale con utenti disabili mentali e fisici. Appassionato di sport in genere ed in particolare di quelli americani, ha sempre avuto come sogno nel cassetto quello di fare il giornalista sportivo. Dal baseball giocato nel cortile del condominio con una mazza scolorita alle partite allo stadio Gianni Falchi con i fuoricampo di Roberto Bianchi e Pete Rovezzi, il passo è stato breve. Fortitudino nel DNA, nutre una passione irrazionale per i "perdenti" o meglio per le storie sportive "tormentate" fatte di pochi alti e di molti bassi.

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