L’esplosione di interesse per il tempo libero e il relativo vertiginoso aumento del giro d’affari degli ultimi anni hanno condotto le organizzazioni sportive a una gestione di tipo aziendale, che non può prescindere da un corretto approccio di marketing.
nLo strapotere a livello di attenzione e risorse economiche che nel nostro paese sta sempre più assumendo un unico sport, il calcio costringe tutti gli altri a un’affannosa e spesso inutile rincorsa. Ma il pubblico, i media, le aziende, considerano oggi il calcio quale parametro di giudizio per gli altri sport, che non possono quindi fare a meno di adeguarsi per tentare di ritagliarsi una fetta di interesse.
nIl fatto di essere in Italia uno sport minore non cambia di una virgola l’atteggiamento che il baseball deve avere nei confronti del mercato.
nnLe variabili fondamentali su cui agire sono quattro, le famose quattro P:
nproduct(il prodotto in quanto tale);
nprice (il prezzo);
nplace (la distribuzione);
npromotion (tutto ciò che è comunicazione).
nAttraverso l’uso equilibrato di queste quattro variabili (marketing mix) nasce il piano di marketing, che deve essenzialmente:
ndefinire il target;
nstabilire il posizionamento del prodotto, cioè il livello di prestigio, di immagine, di connotazione socio-demografica assegnato dai consumatori al prodotto;
ndeterminare, secondo il target e il posizionamento, prezzo, distribuzione e comunicazione adeguati.
nnVediamo come le quattro P possono essere definite dal punto di vista del baseball italiano, non senza avere, però, indicato una quinta fondamentale variabile, tipica dello sport, che molto spesso si rivela incontrollabile: il risultato sportivo.
nnProdotto
nÈ principalmente la prima squadra. Dal potenziale degli atleti messi in campo dipendono infatti le aspirazioni di classifica, il richiamo sul pubblico e sugli sponsor, il potere di ispirare emulazione nelle nuove leve.
nPerò, contrariamente a quanto può avvenire per un prodotto quale, ad esempio, una merendina, la cui qualità è tanto più alta quanto più alta è quella degli ingredienti, non sempre la squadra formata dai giocatori di miglior nome e più alto ingaggio è poi quella che vince.
nEcco la variabile incontrollabile ‘risultato che sfugge a qualunque pianificazione (e costituisce per questo anche l’indubbio fascino dell’impresa sportiva).
nnPrezzo
nDue i settori di intervento: i biglietti e le inserzioni pubblicitarie.
nNell’uno e nell’altro caso, il baseball non ha il potere per forzare la mano al mercato.
nLa entrate provenienti dal pubblico sono talmente irrisorie che gli ingressi possono essere più proficuamente considerati uno strumento promozionale che una fonte di reddito, viste anche le tre partite a week-end che il nostro sport impone.
nEcco che convenzioni con aziende e scuole, inviti offerti dai partner ai clienti, abbonamenti week-end, partite a porte aperte, giornate a tema con omaggio, sono alcune soluzioni da valutare per incentivare le presenze in quelle cattedrali nel deserto che sono troppo spesso i ballpark italiani.
nPiù difficile la gestione degli “inserzionisti”: la visibilità garantita oggi dal baseball ai suoi sponsor non consente richieste economiche di entità considerevole. E, in un circolo vizioso, tutte le risorse provenienti dai partner sono impiegate a coprire (parzialmente) la mera sopravvivenza della società, quasi mai reinvestite in operazioni che questa visibilità potrebbero aumentare.
nnDelle possibili applicazioni della variabile distribuzione e, soprattutto, dell’attività di comunicazione (croce e delizia del baseball italiano e da anni protagonista di tante discussioni), o della sua assenza, nei confronti di pubblico, mass media e aziende ci occuperemo nei prossimi appuntamenti.
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