Patricia (Trisha) Mc Farland, 9 anni, si è persa in una foresta sui monti Appalachi.
Ha lasciato il sentiero che percorreva con la madre ed il fratello persi nel solito litigio quotidiano e interminabile.
I soccorritori che la cercano sanno che indossa la maglietta n.36 dei Red Sox, quella del closer Tom Gordon.
E' l' estate del 1998, quella in cui Gordon, oggi agli Astros, collezionò le 43 salvezze consecutive che portarono i bostoniani ad un passo dalla World Series. Per poi cadere in gara 4 dei play off contro gli Indians. “Dio è senz' altro uno sportivo, ma non ama i Red Sox” lo dice uno dei rari personaggi del racconto.
Tom è l' eroe di Trisha: che lo ama perché è bello ovviamente. E lo adora perché non perde mai la calma ed è sempre padrone di sé, a differenza dei componenti della sua famiglia sgangherata e divorziata.
E' con lui, con il closer dal sangue di ghiaccio, non con i genitori, che parla nei giorni fangosi e nelle notti freddde del suo vagare nella foresta. Ne immagina la presenza. Soprattutto ne segue le imprese.
Ogni sera Trisha accende il suo walkman e naviga sulle frequenze, fra musica country e jingles, alla ricerca della cronaca della partita dei Red Sox. Risparmia le pile della radio come un genere di prima necessità.
Quando, la prima sera, Gordon lascia al piatto Daryl Strawbery degli Yankees, quando lo “fotografa”, sul conto pieno, con una curva, Trisha trae auspici positivi sulla fine della sua avventura. Tom ha battuto gli Yankees e punta l' indice puntato al cielo nel suo tipico gesto di vittoria. Anche lei, lo sente, ritroverà la sua strada.
La sera dopo, quando il line up di New York strapazza la difesa dei Red Sox , molte certezze vengono meno. Trisha non è più tanto sicura di farcela.
Questa è più o meno la storia narrata in “La bambina che amava Tom Gordon” di Stephen King (Speling e Kupfer – 302 pagine – 6.50 Euro).
Chiaro che non vi dico come va a finire. Ci mancherebbe altro.
Ma il libro lo consiglio. King racconta da maestro una quotidianità in cui ogni momento può preludere al dramma. Una realtà dove anche dalle sorgenti limpide sgorgano insidie. Il tormento degli insetti, l'angoscia di perdere una scarpa, la tosse che spacca il petto.
La storia è una originale trasposizione della favola di Cappuccetto Rosso, con tanto di presenze inquietanti che tormentano la nostra Trisha (non sono lupi, ma nemmeno vi posso dire cosa sono).
E anche una bella favola sulle certezze che danno i miti sportivi in una società senza punti di riferimento.
Potrei continuare e dare altre chiavi di lettura. Non sarebbe il caso.
Ognuno ritrova nei buoni libri qualche cosa di personale che lo intriga e lo commuove.
Le partite vissute da lontano, dal centro della disperazione, i rumori del Fenway Park (lo stadio dei Red Sox), le voci dei cronisti, il ribollire della folla, filtrati dalla radio nelle sere fredde della foresta sono, per quanto mi riguarda i momenti più alti del racconto. (A me personalmente è capitato , più di una volta, andare allo stadio per dimenticare qualche dura realtà, e non credo di essere originale.)
Tanto è intrisa di baseball la narrazione che è scandita in inning, invece che in capitoli. Si comincia dal prepartita, ovviamente e la storia trova la sua conclusione nella parte bassa del nono . Al dopopartita segue un divertente poscritto dello stesso King dalla quale traspare il suo amore infelice (ovviamente), per i mitici Red Sox perdenti da tempi quasi immemorabili.
Il libro è, per fortuna e finalmente, ben tradotto. Certo, noi preferiamo dire salvezze e non salvataggi, e il triplo è più corretto della tripla, ma sono veramente piccoli dettagli.
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