Philip Roth, Il Grande Romanzo Americano, Editori Riuniti, Roma, 1982.
Titolo originale: The Great American Novel, 1973
Questa, lo anticipo, è una recensione molto particolare: è, in fondo, un appello.
Non mi dilungherò tanto a presentare Philip Roth, perché si tratta di uno dei maggiori autori americani contemporanei, vincitore nel 1959 del National Book Award con Addio, Columbus e autore di alcune delle più incredibili pagine della letteratura statunitense del secolo scorso.
Su di lui sono reperibili decine di biografie sia su stampa che su internet.
Nel racconto, a parlarci in prima persona è Word Smith, giornalista sportivo e mago della parola giunto a scrivere i discorsi per ben quattro presidenti degli Stati Uniti. Amico di Hemingway (memorabile il racconto di una battuta di pesca d'altura dei due), è in costante disquisizione con lui su quale sia, quale possa essere e se mai verrà scritto il Grande Romanzo Americano.
Smitty, ormai ultraottantenne e malato, non ha mai mollato il progetto di essere lui a scriverlo, il GRA. E se lo è dato come scopo degli ultimi momenti della sua vita.
Ha già chiaro anche il soggetto, perché Smitty è consapevole di essere vittima di un complotto planetario: lui sembra essere l'unico a ricordarsi dell'esistenza della terza Lega professionistica di baseball americana, oltre all'American e alla National, la Patriot League, le cui tracce sono state tutte abilmente cancellate dalla storia e dalla realtà, ma non dalla sua memoria. Perfino a Cooperstown, nella sede della Hall of Fame, negano che sia mai esistita una Lega Patriota, e Smitty finisce sempre col fare la figura del vecchio pazzo in occasione della visita annuale organizzata dalla casa di riposo in cui è ospitato.
Ma Smitty non molla, perché ha tutto ben impresso nella sua mente e proprio la storia dell'ultimo anno di vita della Lega Cancellata gli consentirà di scrivere il Grande Romanzo Americano.
Comincia qui il “romanzo nel romanzo” nel quale Roth, attraverso Word Smith, pennella personaggi indimenticabili, crea gerghi, tradizioni, inventa un intero mondo che ruota attorno a una Lega pro, rende reali gli “umori delle folle”, le personalità di città immaginarie.
Nel 1943 tutti i campionati sono depauperati dei giovani migliori, che vanno in Europa a combattere Hitler e le tre leghe maggiori si devono arrangiare con il materiale umano a disposizione, ma la sorte più ingrata capita ai Ruppert Mundys della Lega Patriota, visto che i proprietari, con bieca manovra speculativa mascherata da sentimento patriottico, hanno concesso all'Esercito l'utilizzo dello stadio di Port Ruppert come base logistica per le truppe in procinto di imbarcarsi per il Vecchio continente. I Mundys non giocheranno che in trasferta, quest'anno, guidati dal mistico manager Mister Fairsmith, novello Mosè, da una parte all'altra dell'America in un esodo senza fine a testimoniare il nobile spirito di sacrificio del popolo americano.
La squadra è quanto meno improbabile, composta da giocatori ritirati da tempo o appena quattordicenni, con svariati handicap fisici, il cui unico scopo diventa quello di mettersi in luce, in modo o in un altro, per essere acquistati da un'altra franchigia e poter finalmente “giocare in casa”.
La storia di questo campionato diventa l'impietosa, crudele metafora utilizzata da Roth per rappresentare la società americana con il suo bigottismo borghese, il suo razzismo più o meno latente, il suo mito del successo a qualunque costo. E lo fa con uno stile talmente efficace, grottesco, politically uncorrect da lasciare a bocca aperta.
La sensazione che il romanzo dà al lettore è difficilmente descrivibile, come accade per tutti i capolavori: personalmente ritengo che il GRA sia per la letteratura americana quello che Tre Uomini in Barca è per quella inglese, The Blues Brothers per il musical o Pulp Fiction per il gangster movie e, se mi è concesso, Alan Ford per il fumetto italiano.
Il Grande Romanzo Americano è una delle più esaltanti esperienze di lettura che il sottoscritto abbia mai fatto. Se non vi è mai capitato di scoppiare a ridere nel bel mezzo di una pagina, osservati con stupore da coloro che vi circondano, se amate il brivido sottile del girar pagina con la consapevolezza che con ogni probabilità l'autore riuscirà ancora una volta a sorprendervi, seguite il mio consiglio: impossessatevi di questo libro. Lui si impossesserà di voi.
E qui vengo all'appello: impossessarsi del libro oggi pare non sia affatto facile. C'è una libreria a Bologna (studenti e appassionati la conoscono molto bene), che si può definire il tempio dell'usato e la stock house del libro, la Libreria delle Moline (051230869), ma anche qui pare non siano più disponibili le copie recuperate dai magazzini della Editori Riuniti, che ha messo il romanzo fuori catalogo.
Il libraio (di quei cultori del libro “da romanzo”, appunto) è convinto che, a seguito di un certo numero di richieste si potrebbe ottenere una ristampa.
Che ne dite, ci proviamo?
Se le mie parole vi hanno stimolato e incuriosito, vi invito a scrivermi una email di interessamento, io le raccoglierò e girerò alla casa editrice. Magari il mondo del baseball italiano potrà contribuire alla rinascita di una piccola, importante, perla di cultura.
Fatelo, lo dico per voi!
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