“La mia prima valida? L'ho battuta nel 1984, ma se non lo avesse scritto la 'Gazzetta di Parma' oggi non me lo sarei ricordato che era contro il Bologna”.
Massimo Fochi sorride. Continua a sorridere quando il suo manager Chris Catanoso lo invita, con un finto tono burbero, a tornare in campo.
1984: sono passati quasi 20 anni. L'Italia era Campione del Mondo di calcio, Silvio Berlusconi stava tentando di ottenere la diretta per le sue televisioni ed i telefoni cellulari non erano altro che un'ipotesi.
Nel 1984 il presidente del Parma Angels Aldo Notari fece un'offerta di quelle che non si possono rifiutare, 9 giocatori alla Crocetta per Massimo Fochi: “Forse era rimasto scottato qualche anno prima, quando Gianguido Poma passò al Bologna e decise di fare tutto il possibile per non perdere un altro prodotto della Crocetta”.
Arrivasti in una squadra che era in ricostruzione. Aveva smesso Castelli, non erano stati confermati Guggiana, Roman, Gallino e il manager Powers: “Beh, era una squadra che aveva grandi giocatori. Sul monte c'era ancora Farina, il catcher era Baez e con me si alternava all'interbase Gagliano. Il manager era Butch Hughes. Arrivammo secondi e ponemmo le basi per il titolo del 1985”.
Quell'anno arrivò anche la chiamata per le Olimpiadi: “Già, ero uno dei 9 giocatori di scuola italiana. Una grande soddisfazione”.
Come lanciatore arrivò la consacrazione. Uscisti con la vittoria dalla sfida con la Repubblica Dominicana: “Lanciava Farina, il mio idolo. Mi chiamarono dal 'bull pen' per salire sotto 7-5 in un 'Dodger Stadium' pieno, visto che dopo di noi giocavano gli Stati Uniti. Io ero solo un ragazzo, salii senza rendermi bene conto di quel che succedeva, ma convinto di dare tutto quel che avevo. Vincemmo 12-7”.
E qualcuno se ne accorse… “Durante le Olimpiadi fui invitato a cena da Tom Giordano, che per gli Orioles mi seguiva da un annetto. Mi fece un'offerta da 25.000 dollari, più benefit. Per quei tempi era un'offerta importante, se pensate che Mc Gwire o Clark firmarono per 100.000. Giordano disse che era il suo sogno, vedere un Italiano agli Orioles”.
Ma dicesti di no. Perchè? “Fu un concorso di ragioni. Intanto, se fossi andato avrei perso l'opportunità di giocare in nazionale e nel nostro campionato, se non da straniero. Poi si trattava di una scelta che poteva pesare sulla mia vita privata. Avrei dovuto lasciare la mia ragazza, che oggi è mia moglie, in Italia e non avrei potuto aiutare mio padre, che in quei mesi iniziava un'attività in proprio. Non fu una scelta facile, comunque”.
Rimanendo in Italia hai dato vita ad un tormentone. Fochi è un lanciatore o un interno? “Questa domanda ha tormentato i presidenti, gli allenatori, forse i tifosi…certamente non me. Io ho sempre giocato dove mi hanno chiesto di giocare. Certo, quando mi è stato chiesto se preferivo giocare una partita o 3 ho sempre ammesso che preferivo giocarle tutte e 3”.
Anche quest'anno è la stessa cosa… “Mah, è difficile programmare certe cose a tavolino. Qui non abbiamo rose di 30 giocatori e se c'è un'emergenza ci si rivolge a chi può coprire più ruoli. Diciamo che sono un 'utility', anche se atipico. Di solito sono piccoli e veloci…”.
Come è cambiato il livello in questi 20 anni? “Diciamo che il livello è molto cresciuto come potenza, lo si vede anche dalla lunghezza dei fuoricampo che vengono battuti oggi. Come tecnica non direi, un Castelli sarebbe anche oggi il numero uno. Il modo di allenarsi è cambiato, si usano molto di più i pesi.
I lanciatori mediamente hanno più velocità. A loro tempo Romano e Farina erano eccezioni, oggi capita tutte le settimane di vedere qualcuno che arriva alle 90 miglia all'ora. Poi c'è più strategia, i battitori vengono giocati con più attenzione”.
Dì la verità, hai qualche rammarico? “Come potrei? Ho avuto tante soddisfazioni, ho giocato in squadre fortissime, con compagni bravissimi…”
E' il momento di parlare di futuro con il vice Presidente Federale: “Io sono in Federazione per dare il contributo di qualcuno che viene dal campo. Non mi sono mai sentito un politico”.
Parlando del tuo futuro, ti vedi più come dirigente o tecnico? “Pur essendo il baseball una passione consolidata, devo ammettere che gli ho dedicato tanto tempo e tante energie che non sarebbe assurdo pensare ad un periodo di distacco, quando smetterò di giocare. D'altra parte, trasmettere quello che ho imparato ad altri mi stimola molto. Diciamo che non ci ho ancora pensato”.
Da giocatore sei anche nel 2003 un punto di forza del Cantine Ceci Cus Parma. Che prospettive ha questa squadra? “Oggi è un cantiere con tanto di cartello 'lavori in corso'. Stiamo costruendo una squadra giorno per giorno, cercando di imparare dagli errori. A questa squadra non metto limiti, ma sono conscio che dobbiamo lavorare tanto”.
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