Sono sempre stato un personaggio ingombrante nel baseball italiano. Non, o non solo, per le mie non indifferenti dimensioni però. Piuttosto, ho sempre avuto un altro grave difetto: ragiono con la mia testa. E questo deve sembrare davvero un peccato mortale in un mondo nel quale hanno più peso le leggende metropolitane delle norme.
Prendete Parma, la città dove vivo, che cifre alla mano resta la capitale del baseball in Italia: una squadra in A1, 3 in A2 e 2 in B. Bene, Parma è la capitale del baseball ma questo sport sta cercando di ucciderlo. A Parma il “vecchio gioco” si sta cercando di trasformarlo da sport a gioco di società, con ognuno che ha la sua bella posizione garantita e nessun seccatore che gliela può insidiare. Parma, che vive ancora di un passato che ricorda in maniera distorta: “Ah, la Germal dei parmigiani”. Erano 2, Cattani (non sempre) e Castelli, con qualche intrusione dell'allora giovanissimo Corradi. “Ah, gli stadi pieni dei tempi dei Donzelli”. Mai visti. Anzi, forse una volta, nel 1991, quando si giocò la finale col Verona. “Ah, una volta prendevamo solo americani bravi”. Mica vero: Bob Di Grazia lo soprannominarono “disgrazia”, battevo più io di Tim Bruno, l'unica cosa notevole di Bill Simpson erano i baffi, Chris Willsher lo cacciarono dopo 3 partite, David Leeper me lo ricordo solo perchè aveva l'anello delle World Series, Wyatt aveva la spalla maciullata, Johnny Paredes dall'interbase non arrivava in prima…
Il nemico del baseball di Parma sembra siano gli 'oriundi', che rubano posto agli svariati talenti parmensi che giocano ad esempio a Reggio Emilia (che in effetti è penultima) o hanno giocato a Modena (che infatti adesso si rivolge al mercato americano o venezuelano) o a Codogno (in A2) o Novara (idem).
La cosa più bella è che ho fatto un calcolo di quanti giocatori 'locali' avessero le squadre di A1 sabato sera, se paragonati ai 6 (Bova, Bertolini, Brambilla, Fochi, Vasini e Finetti) che Parma aveva in campo. E il risultato è sorprendente:
Grosseto 5 (Ermini, Gasparri, Bischeri, Bindi e Ginanneschi); Reggio Emilia 1 (Guardasoni); San Marino 1 (Lonfernini) estendibile a 3 con Tassinari e Astolfi (Sant'Arcangelo e Rimini, credo) e a 4 con Crinelli (Pesaro); Bologna 2 (Frignani e Landuzzi, con apparizioni di Breveglieri, Monari e Gamberini); Anzio 5 (Santolupo, Casolari, Scorziello, De Rossi e Bosco) più un po' di nettunesi (Imperiali, Fernando Ricci e Sanna); Nettuno 7 (Schiavetti, De Franceschi, D'Auria, i 2 Mazzanti, Paoletti e Diego Ricci); Firenze 4 (Osella, Pinto, Duimovich e Pugliese, forse 5 con Neri, che ammetto di non sapere da dove viene); Modena 5 (Laffi, Malagoli, Roversi, Generali e Giugni); Rimini 4 (Chiarini, Gambuti, Evangelisti e Crociati).
Traete voi le vostre conclusioni.
Il baseball italiano ogni tanto mi offre anche cose che mi aprono il cuore alla speranza. A Rimini venerdì sera ad esempio ho visto Nilsson. Non che per l'occasione abbia giocato benissimo, anzi, si è prodotto in qualche swing ampio alla ricerca dell'homer ma ha avuto scarso successo. Però era lì, una presenza POSITIVA. A fine partita, mentre mi aggiravo per il campo, ho visto un bambino (forse figlio di un suo compagno) chiedergli: “Dingo, mi rilanci la palla?”. Lui pazientemente lo ha fatto, prima di mettersi a firmare autografi. Al di là di quel che si rende in campo, questi sono atteggiamenti da campione.
In questi giorni circola su Telepiù il film “61”, diretto da Billy Crystal. Narra la storia della stagione in cui 2 giocatori degli Yankees (l'idolo delle folle Mickey Mantle e il meno amato Roger Maris, figlio di contadini dell'Arkansas, un “redneck”…insomma, una sorta di 'oriundo' ante litteram) si contendevano il record di fuoricampo di Babe Ruth. Maris fu fatto oggetto di veri e propri episodi di razzismo, a cominciare dalla decisione presa dal Commissioner di convalidare un eventuale record solo in caso fosse stato ottenuto in 154 partite, quante ne aveva giocate “The Babe”.
Tutti sapete come andò: Maris battè 61 fuoricampo ma in 162 partite e il suo record venne riconosciuto come assoluto solo nel 1991, quando Roger era già morto da anni. Il film è comunque un'esemplare storia di sport partendo da quel che gli americani hanno sempre sostenuto: “Il baseball è una simulazione della vita”.
Nel caso di Roger Maris, fu qualcosa di più. La stampa lo assediò per mesi, cavandogli parole che sui giornali avevano solo risonanza negativa. Come la volta che Maris, che risiedeva nell'allora tranquillo quartiere di Queens, lontano dalle luci di Manhattan, dichiarò: “Mah, io non sono il tipo che ama la vita notturna” e un giornale sparò in prima pagina: “Maris: io non sono il tipo giusto per New York”. La reazione dei tifosi fu ovviamente piuttosto ostile.
Nel film Maris, disperato, parla con Mickey Mantle e commenta così l'episodio: “Cavolo, mi sta bene che scrivano di tutto su quel che faccio in campo. Ma sulla mia vita privata no”.
Se tutti i giocatori ragionassero come te, le cose nel nostro baseball andrebbero meglio, Roger.
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