Nove vittorie (di cui tre shut-out) in dieci giorni. E con tanta voglia di tornare campioni del mondo. Gli USA, mai ad un Mondiale con una squadra così competitiva (16 giocatori di triplo A su un roster di 24), sono saliti per la terza volta sul podio più alto in 37 edizioni del Mondiale, che li ha visti conquistare anche 8 argenti e 3 bronzi.
Un successo inequivocabile frutto del lavoro del 64enne Davey Johnson, 13 anni come seconda base e 14 da allenatore in Major League (World Series con i NY Mets), due anni nella Japanese League e dal 2005 allenatore del Team USA.
Se Johnson è riuscito a centrare l’oro superando Cuba (imbattuta da 9 edizioni) lo deve probabilmente anche a quanto appreso durante il periodo trascorso in Olanda. Arrivò, con grande entusiasmo, nell’estate del 2003 chiamato dalla KNBSB per far parte dello staff tecnico della nazionale durante l’Europeo e la qualificazione olimpica affiancando Robert Eenhoorn, costretto a stare vicino al figlio Ryan, poi scomparso dopo una lunga malattia all’età di soli 6 anni.
L’esperienza con Eenhoorn e con la squadra orange, che sbancò l’Europeo di quattro anni fa, fu determinante nel suo percorso di allenatore, facendogli scoprire il mondo fino ad allora sconosciuto del baseball non professionistico.
L’Olanda fu un vero e proprio trampolino di lancio per Johnson che si gode la meritata vittoria, giunta 33 anni dopo l’ultimo successo americano.
Solo un momento di defiance. Una sconfitta amara. Contro gli azzurri di Mazzieri che, con grinta invidiabile e senza timori reverenziali, venerdì 9 novembre hanno messo ko con uno storico 6-2 i forti avversari (vincente D’Angelo, perdente Outman). L’Italia è stata l’unica formazione del Mondiale a dare una delusione a quelli che sarebbero stati i futuri campioni.
Il ricevitore dei St. Louis Cardinals, Bryan Anderson, scrisse nel suo diario “Italy game woke us up”. Sul 5-0, sottolinea Anderson, gli USA disputarono contro l’Italia una gara definita “imbarazzante”. Non ricorda esattamente cosa successe in quella partita, ma quella brutta sconfitta con gli italiani servì come una svegliata. “Avevamo considerato superficialmente le nostre avversarie ma nel baseball non puoi ragionare così”.
I numeri sono la testimonianza più evidente del trionfo americano: 57 punti segnati contro 22 subiti in 10 incontri disputati, 7 vittorie su 9 ottenute con almeno 3 punti vantaggio.
Domenica il seconda base Jayson Nix (Colorado Rockies) ha guidato l’attacco USA chiudendo a 2 su 4 con un fuoricanpo, 2 punti prodotti ed uno segnato.
Il 25 enne Nix, MVP del torneo e miglior seconda base, ha battuto con un pesante .387 (12-31) di media con 3 doppi, 1 triplo, 2 homeruns, 6 punti battuti a casa, 9 punti segnati, 2 basi rubate.
L’esterno Justin Ruggiano (Tampa Bay Devil Rays) è risultato primo per numero di fuoricampo (3) mentre Colby Rasmus (St. Louis Cardinals) è stato uno dei tre migliori esterni.
La media battuta di squadra è stata di .286 (85 valide su 297 turni) 23 doppi, 2 tripli, 14 homerun e 49 punti battuti a casa nell’arco dei 10 incontri; la media PGL è stata di poco superiore al punto (1.03), la più bassa del torneo.
Jeff Karstens (New York Yankees) ha ottenuto due vittorie contro Corea e Messico con 0.69 di mpgl. Il rilievo Lee Gronkiewicz (Toronto Blue Jays) è invece apparso in 6 delle 10 partite giocate dagli USA, vincendo contro Taipei, con una media di 1.23 (in 7.1 inning 4 valide, 1 punto e 10 strikeout). Infine, tre salvezze per Chris Booker (Washington Nationals).
Commenta per primo