Galasso racconta… (seconda parte)

Fine dell'intervista con il lanciatore che giocò a Nettuno tra il ‘90 e '93. "Una città con cuore, non so se sono stati i 3 anni più belli della mia vita, sicuramente ho ricevuto di più di quanto ho dato&quot

Rimini e il grande Falcone – Nelle finali scudetto del '90 perdemmo la prima partita, in cui lanciai io, ma il talento di quei ragazzi ci fece vincere le altre due giocate sul diamante di Anzio. Quindi a Rimini battemmo Falcone in gara-4 e lo fecero scendere di pedana solamente dopo due o tre riprese. Il mio compito quella sera fu molto facile, e pensavo che in vantaggio per 3 a 1 non avrei dovuto lanciar più. Invece perdemmo le altre due e dovetti salire in pedana per la settima, ad incontrare il mio amico Falcone che aveva lanciato pochissimo. Mentalmente ero preparato, ma fisicamente esausto. Al sesto inning cominciai ad avere i crampi, non potevo utilizzare le curve, così le ultime tre riprese furono tutte a base di palle veloci e changeup. Ma ricordo quando arrivammo allo stadio i tifosi del Rimini ci derisero, dicendo che avrebbero vinto loro e facendoci anche il gesto di tagliarci la gola. Ma fu una "minaccia" che ebbe l'effetto contrario, perché a quel punto avrei dato tutto quello che avevo per aiutare il Nettuno a vincere quel campionato. Ora… non l'ho mai detto a nessuno, ma ricordo di aver pregato Dio per vincere questa partita. Gli chiesi un favore, non per me ma per la città di Nettuno. Questo è un ricordo che porterò sempre con me. Credo in Dio e penso che ci abbia dato una mano non per me, ma per quei ragazzi che meritavano di vincere. Quando Trinci prese al volo quel foul successe di tutto. Fu una grande festa, abbracciai molte persone ma ero ancora calmo. Poi quando vidi la mamma di Goffredo piangere, fu lì che cominciai a piangere anche io come un bambino, conscio di essere stato parte di quel pezzo di storia che fu quello scudetto. In fondo, anch'io ho imparato molto dall'Italia.

Il secondo scudetto – Nel 1993 la squadra era pronta per vincere ancora, anzi era "affamata" per non averlo fatto nell'anno precedente. Ero ben sopra i 40 anni e mi chiedevo se fossi stato capace di farlo di nuovo. Mi mancava Nettuno e il baseball e così decisi di accettare la proposta e tornare. Al primo allenamento erano tutti intorno a me a vedere se ero ancora capace di lanciare come due anni prima. Guglielmo Trinci mi vide e disse "vinceremo ancora". Solo queste semplici parole, e si avverarono. Comunque non fu duro come il primo campionato. Claudio Taglienti era diventato un lanciatore fortissimo e dominante, e penso che quell'anno aveva delle statistiche migliori delle mie. Fu grande in quelle finali giocate ancora contro Rimini. Io ricordo due cose distintamente di quell'anno. Prima, un incidente in motorino durante l'estate il mercoledì prima di una gara contro il Bologna. Mi ero ferito su tutta la parte destra del corpo, e non sapevo se avrei potuto lanciare quel venerdì. Giocai senza niente sotto, durante il riscaldamento le croste si ruppero e la divisa bianca cominciò a macchiarsi di sangue. Lanciai tutte e nove le riprese, e addirittura il sudore del mio corpo aiutò le ferite a rimarginarsi. La seconda riguarda le finali. Claudio Taglienti lanciò quella finale in maniera incredibile. Io ebbi una difficile prima partita in cui subii quattro valide da Evangelisti. Ruggero mi disse che per lui farlo era stato tutt'altro che difficile, e allora capii che la partita successiva l'avrei vinta. Penso di averlo lasciato al piatto almeno tre o quattro volte. Vincemmo un incontro molto combattuto e dopo il match dissi a Gambuti che Evangelisti aveva qualcosa da imparare riguardo l'umiltà. Gambuti è una persona che rispetto tantissimo, era un battitore difficilissimo da affrontare e penso che se avesse avuto la chance in America avrebbe giocato come professionista. Ricordo anche che Guglielmo fu colpito da un lancio sulla testa e la squadra giocò quella partita per vincerla e vincere la serie proprio per Trinci. Lui era la nostra roccia.

Il ricordo di Nettuno – Sono tornato nel 2004, e mi sono rincontrato con la famiglia Danna e tutti i ragazzi qui a Nettuno. Ho rincontrato Goffredo ed è come un fratello per me, e sono molto orgoglioso di lui e della sua vita. Sono contento che ognuno di quei giocatori sia rimasto molto legato al baseball. Ma in particolare, di quegli anni trascorsi lì, è che questi ragazzi sono cresciuti proprio di fronte ai miei occhi per trasformarsi da buoni giocatori a campioni. Probabilmente lo sarebbero diventati uguale, io sono stato forse quel piccolo additivo che li ha aiutati in questa strada. Poi ricordo Alberto De Carolis e tante cose divertenti. Una volta mangiammo la pizza in un localino del centro storico e quando arrivò il conto (salato) disse a me e Jesse Reid se eravamo diventati i suoi nipoti, e anche il mezzo sigaro toscano che mi dava dopo ogni vittoria. Giampiero è un grande allenatore, paziente ma molto attento e intelligente. Sulla riunione sul monte in garasette nel '90, quando stavamo quasi per perdere, mi disse "Questa è la tua partita, finiscila tu" per caricarmi e darmi le ultime energie. E anche i giri in bicicletta intorno a Nettuno, la gente che mi salutava e mi conosceva, ed erano tutti contenti che la squadra stava andando bene. Quando sei in una città per sette mesi tre volte in tre anni diventi parte di loro. L'unico rammarico forse è non aver imparato bene l'Italiano. Ma Nettuno è una città con cuore, orgoglio e differenze culturali che la rendono speciale. Spero che non cambi mai. Non so dire se sono stati i tre anni più belli della mia vita, sicuramente ho ricevuto da Nettuno anche di più di quanto abbia dato.

"Attraverso questa porta passano i migliori giocatori d'Italia. Oggi giocate come campioni!". Quando tornò in visita nel maggio del 2004 Galasso regalò al Nettuno Baseball questa targa, che ancora campeggia dentro gli spogliatoi dello Steno Borghese. Carisma, tecnica, forza e attaccamento alla maglia, quello si ricorda di Bob Galasso. Non si era mai visto uno statunitense così voglioso di vincere col Nettuno. Tanto che proprio in quegli anni, su un muro, si lesse un giorno una scritta. "Bob Galasso Sindaco".

Informazioni su Mauro Cugola 547 Articoli
Nato tre giorni prima del Natale del 1975, Mauro è laureato in Economia alla "Sapienza" di Roma, ma si fa chiamare "dottore" solo da chi gli sta realmente antipatico... Oltre a una lunga carriera giornalistica a livello locale e nazionale iniziata nel 1993, è anche un appassionato di sport "minori" come il rugby (ha giocato per tanti anni in serie C), lo slow pitch che pratica quando il tempo glielo permette, la corsa e il ciclismo. Cosa pensa del baseball ? "È una magica verità cosmica", come diceva Susan Sarandon, "ma con gli occhiali secondo me si arbitra male". La prima partita l'ha vista a quattro mesi di vita dalla carrozzina al vecchio stadio di Nettuno. Era la primavera del '76. E' cresciuto praticamente dentro il vecchio "Comunale" e, come ogni nettunese vero, il baseball ce l'ha nel sangue.

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