Clemente e quella "34 e mezzo" che non c'è…

Edgard, nipote del leggendario Roberto Clemente, è arrivato a Bologna dopo un lungo viaggio da San Juan di Portorico. E ha voluto subito fare allenamento. Ha chiesto una mazza così massiccia che in Fortitudo ne sono sprovvisti

Fisico tosto, solido. E faccia da battitore, da uomo che nella sua vita – con una mazza da baseball nelle mani – ha fabbricato 1178 battute valide (tra le tante stagioni nelle Minors e le tre in MLB). Con 431 "extrabase": 233 doppi, 41 tripli, 157 homerun.
Edgard Clemente s'era appena sobbarcato un viaggione… mica da ridere, da San Juan de Portorico a Bologna, arrivando all'aeroporto Guglielmo Marconi verso mezzogiorno. Ma alle 6 del pomeriggio era già lì sul diamante dell'efficientissimo Centro tecnico della Fortitudo Baseball, a Casteldebole. Giorno di allenamento. E un professionista serio deve farsi trovare pronto. Ci sarà tempo, dopo, per smaltire l'eventuale stanchezza del viaggio. Prima viene il dovere. E soprattutto il desiderio di conoscere i compagni di squadra, il manager e gli altri dello staff tecnico.
Edgard Clemente entra in un mondo che per lui è tutto da scoprire, l'Europa, l'Italian Baseball League. Sensazione strana per un "vecchio drago" trentacinquenne che gioca professionista fin dal 1993 e che è passato attraverso mille esperienze, tanti diversi campionati, conoscendo anche la gloria della Major League. E dunque, la curiosità è forte. Stimolante. Come la voglia di cominciare subito a prendere la mazza in pugno. Edgard e la mazza da baseball, sua inseparabile compagna. Arriva a Casteldebole accompagnato in auto da Juan Carlos Infante, uno di quelli che "fanno la differenza". Bella coppia.
Infante gli ha già raccontato tanto della Fortitudo, di Bologna, del baseball italiano. Edgard è orgoglioso di far parte del Club campione d'Europa. Ed è felice della scelta che ha fatto. Una scelta in controtendenza. Tanti giocatori di valore quest'anno hanno scelto il Messico. Qualcuno ha detto no alle offerte di Società italiane. Clemente, invece, ha fatto il contrario. Decidendo di cambiare strada. Lui nel Triplo messicano c'è stato. C'era. Poteva restarci, avendo realizzato performances da "superbig" a Reynosa negli ultimi due anni, battitore tempestoso. All'età di 35 anni vuole sentire il sapore di emozioni nuove.
Racconta: "Ho avuto una carriera professionale lunga, intensa e, anche, importante. Sono passato da un angolo all'altro degli Stati Uniti, da un livello ad un altro, da una lega all'altra, sono riuscito anche ad afferrare il sogno di tutti i giocatori di baseball: la Major League. Ho giocato per tre anni e 114 partite in MLB: con Colorado nel 1998 e 1999, con Anaheim nel 2000. Poi, di nuovo Triplo A tra l'Illinois e il Messico. E tanta Independent League. Infine ancora Messico, nelle ultime stagioni. Posso dire d'aver conosciuto tutto. E allora, ho capito che era il momento di provare qualcosa di diverso. Fare un'esperienza nuova. Cambiare continente. Conoscere altra gente, altre realtà. Trovo stimolante questa opportunità. La Italian Baseball League è un campionato di buon livello, è una Lega competitiva. Così mi sono detto: proviamo!".

Diciotto stagioni nel baseball professionistico: quindici nelle Minor Leagues (tra Rookie, Singolo A, Doppio A, dodici esperienze in Triplo) e tre in Major League. Indossando le casacche d'una ventina di squadre. Edgard, in questi due decenni quali sono stati i momenti più emozionanti, i ricordi più belli? "L'emozione più forte, non ho dubbi, l'ho provata il giorno del mio debutto in MLB. Era il 10 settembre 1998. Avevo 22 anni. Un forte cocktail di sensazioni. Guardavo con fierezza la mia divisa dei Colorado Rockies. Giocavamo contro i Florida Marlins. Al primo turno di battuta, stampai subito una valida. Al secondo turno, mi guadagnai una base su ball. Mica male come inizio…".
"La mia partita più bella in Grande Lega? Quando realizzai due fuoricampo. Sì, due homers nella stessa gara. E' successo contro gli Expos, la franchigia che adesso è Washington Nationals".
Una carriera con "numeri" decisamente interessanti, quella del portoricano Edgard Clemente. Una dozzina di campionati con oltre 300 di average. La media-battuta. E percentuali slugging spesso fra 400 e 500: addirittura un 488 in Major League nel 1999, un 667 in Doppio A con Trenton nel 2001, un 622 l'anno successivo a Somerset in Independent, e poi 617 a Sioux Falls, 600 a York. Quale il segreto di questa grande regolarità nel box di battuta? "Semplice. Allenarsi bene. Lavorare forte, sia in palestra sia sul campo. Fare tutto quel che va fatto per permettere al fisico, e alla testa, di dare delle buone risposte".
Edgard viene da una stagione superlativa. Una delle sue migliori sotto l'aspetto statistico. La prima parte del 2010 con la casacca di St.Paul, nella AmAs League, in Independent: 21 partite, 333 di average, 417 di slugging, 364 di OBP (percentuale arrivi in base) e 781 di OPS (arrivi in base più percentuale slugging). Seconda parte del 2010 vissuta sui diamanti messicani di Triplo A, con la squadra di Reynosa: 21 partite, 13 homers, average 364, slugging 584, OBP 430, OPS 1014. Da sempre Edgard Clemente è anche un eccellente difensore. Abilissimo "jardineiro", sia al centro, sia nella posizione di destra (quella che presumibilmente ricoprirà in Fortitudo, con Julio Ramirez al centro e Gabriele Ermini a sinistra).

Edgard porta sui diamanti un cognome prestigioso: Clemente. Infatti è il nipote di una "Leggenda" del baseball mondiale: Roberto Clemente, eroe di Portorico, un personaggio esemplare entrato nella Hall of Fame della MLB. Era il Campione della gente nel suo Paese. E' stato per diciott'anni un idolo, negli Stati Uniti, per i fans dei Pittsburgh Pirates. Roberto l'uomo degli anelli: trascinò i Pirates a vincere due World Series (nel 1960 e nel 1971). Roberto è stato dodici volte Guanto d'Oro, e per quindici volte inserito nella All Star selection. Grandissimo giocatore (uno dei più forti esterni di tutti i tempi in MLB), grandissimo uomo. Morì nel 1972, precipitando nell'Oceano con l'aereo (un vecchio Douglas DC-7) che aveva affittato, mentre generosamente portava viveri, medicinali e altre forme di sussistenza alla popolazione del Nicaragua sconvolto da un terribile terremoto. Managua, la capitale, bella città che si portava dietro l'etichetta di "ciudad alegre", era stata colpita durissimamente. La tragedia del popolo nicaraguense aveva toccato ovviamente la straordinaria sensibilità d'una persona di grande umanità come Roberto Clemente, già da tempo impegnato in opere di beneficenza per il suo Portorico ma anche a favore di altri Paesi latinoamericani.
Edgard Clemente è nato il 15 dicembre 1975 (a Santurce, barrio di San Juan) tre anni dopo la scomparsa del mitico Roberto. Con quel cognome era un… predestinato: non poteva che giocare a baseball!
"Sono molto felice di portare questo cognome, e orgoglioso di far parte della famiglia Clemente. Ciò mi ha spinto, ancor di più, ad affrontare gli impegni nel baseball con la massima professionalità. Lavorando duramente per poter dare sempre il meglio delle mie possibilità".
Edgard, hai mai pensato – magari quand'eri un ragazzetto e naturalmente inseguivi sogni bellissimi – di diventare un campionissimo come zio Roberto? "No, di diventare così grande no. Roberto Clemente è unico. E' stato e rimane unico. Io ho cercato di arrivare il più lontano che potevo. Avendo sempre dato tutto me stesso, non ho rimpianti. Sono contento della carriera che ho fatto. E che non è ancora finita! Adesso sono in Italia, sono felice d'essere qui nel Club campione d'Europa e spero di aiutare questa squadra a vincere ancora".
Ecco la nuova sfida di un trentacinquenne che ama il baseball e che ha ancora voglia di essere protagonista.
La dimostrazione? Ieri, a Casteldebole, quando è cominciato l'allenamento in battuta Edgard ha chiesto una… 34 e mezzo! Che è un "bastone" veramente strong, pesante, la cui lunghezza è di appunto di 34 pollici e mezzo. Mazze di questo genere, così massicce, sono indicate per battitori di grande potenza. Momento di imbarazzo generale all'allenamento di fronte alla richiesta di Edgard. "Una mazza così non l'abbiamo…". Attualmente in Italia non se ne trovano, o è difficile trovarle. Chi altri, nel nostro campionato, batte con un mazzone di questo tipo? Soltanto De Biase, per quel che ricordo.
Così, Clemente s'è dovuto "accontentare" d'una 34. E l'ha fatta girare con una naturalezza impressionante, battendo line drive a tutto campo.

Informazioni su Maurizio Roveri 192 Articoli
Maurizio Roveri, giornalista professionista, è nato il 26 novembre 1949. Redattore di Stadio dal 1974, e successivamente del Corriere dello Sport-Stadio, fino al gennaio 2004. Iscritto nell'Albo dei giornalisti professionisti dal luglio 1977. Responsabile del basket nella redazione di Bologna, e anche del pugilato. Caporubrica al Corriere dello Sport-Stadio del baseball, sport seguito fin dal 1969 come collaboratore di Stadio. Inviato ai campionati mondiali di baseball del 1972 in Nicaragua, del 1988 in varie città d'Italia, del 1990 a Edmonton in Canada, del 1998 in Italia, nonché alle Universiadi di Torino del 1970 e ai campionati Europei del 1971, del 1987, del 1989, del 1991, del 1999. Dal 2004 al 2007 collaboratore del quotidiano "Il Domani di Bologna" per baseball, pugilato, pallavolo.  

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