Voglio una vita… da interbase

È in uscita in Italia "The Art of Fielding" ("L'arte di vivere in difesa") di Chad Harbach. Recente e clamoroso caso letterario, uno dei migliori romanzi sul baseball di questo secolo. Assolutamente da non perdere

Arrivati a questo punto del nostro discorso su baseball e letteratura, dovrebbe essere chiaro che i migliori romanzi in cui il baseball è almeno uno dei motivi principali (quanto baseball deve esserci in un libro affinché possa essere catalogato come baseball fiction?) sono quelli in cui il gioco è messo in rapporto alla vita, in cui parlare di partite, strikeout e fuoricampo è anche (o soprattutto) un modo di rivelare a noi stessi gli aspetti più profondi delle nostre esistenze.

Se questo è vero, allora The Art of Fielding, il romanzo di Chad Harbach pubblicato nel 2011, e di cui è imminente l'uscita in italiano con il titolo L'arte di vivere in difesa (Rizzoli), è senza dubbio uno dei grandissimi romanzi della baseball fiction.  Negli USA il libro ha ricevuto recensioni entustiastiche e si è trasformato subito in un caso letterario, anche perché Harbach, al suo debutto come romanziere, è anche il direttore di n+1, una prestigiosa rivista culturale newyorkese .

Henry Skrimshander è un diciottenne del Sud Dakota estremamente dotato per il baseball.  Grazie ai buoni uffici di Mike Schwartz, catcher e capitano degli Harponeers, la squadra del piccolo e immaginario Westish College, nel Wisconsin, Henry -che gioca da interbase- riesce a entrare all'università con una borsa di studio. Da anni il suo gioco e la sua vita sono ispirati dalla lettura ossessiva di un manuale intitolato -come il romanzo- The Art of Fielding,  (che potremmo tradurre come "L'Arte di giocare in difesa" visto che to field vuol dire giocare in campo la palla battuta), scritto da un immaginario ex-shortstop dei Cardinals, Aparicio Rodriguez. Il libro di Aparicio è composto da centinaia di aforismi, brevi frasi numerate che danno consigli tecnici e descrivono l'atteggiamento mentale e – direi – spirituale che deve tenere l'interbase, come i seguenti (la traduzione è mia):

26 L'interbase è una fonte di tranquillità al centro della difesa. Egli proietta questa tranquillità e i suoi compagni rispondono.

59 La presa di una battuta a terra va considerata un atto di generosità e comprensione. Ci si deve muovere non contro la palla, ma insieme ad essa. I cattivi giocatori attaccano la palla come se fosse un nemico. Questo è antagonismo. Il vero difensore trasforma il percorso della palla nel proprio percorso, comprendendo la palla e dissolvendo il proprio io, che è la fonte di ogni giocata sofferente e imperfetta.

147 Lancia con le gambe.

3 Ci sono tre fasi: l'essere senza pensiero; il pensiero; il ritorno all'essere senza pensiero.

33 La prima e la terza fase non vanno confuse. Tutti ottengono l'essere senza pensiero, ma pochissimi raggiungono il ritorno all'essere senza pensiero.

Sottoposto a una severa autodisciplina sotto la guida "paterna" di Mike, affiancato dal suo compagno di stanza Owen (un serafico mulatto omosessuale, praticante di yoga e riserva della squadra che i compagni hanno soprannominato Budda), Henry perfeziona il proprio gioco, ne lima gli automatismi fino a raggiungere lo stato descritto nel manuale di Aparicio:

121 L'interbase ha lavorato duramente per così tanto tempo che egli ha cessato di pensare. E di agire. Intendo dire che egli non genera l'azione, ma si limita a reagire nello stesso modo in cui uno specchio reagisce quando gli si passa davanti una mano.

Così non solo gli Harponeers migliorano e per la prima volta nella loro storia stanno per vincere il campionato universitario, ma anche Henry riesce a uguagliare il record di Aparicio: 51 partite di fila senza commettere un errore. Gli scouts della MLB seguono con interesse il giovane interbase, e cominciano a fioccare offerte a molti zeri per farlo passare al professionismo. Fino al giorno in cui Henry sbaglia un'assistenza in prima e l'incantesimo si spezza. L'errore causa terribili conseguenze su di lui e su coloro che lo circondano. Ora Henry è indeciso su ogni palla e gli errori si moltiplicano. Sembra proprio che sia stato colpito dalla cosiddetta sindrome di Steve Blass, un blocco mentale che gli impedisce di eseguire ciò che prima sapeva fare alla perfezione, un disturbo come quello che era stato diagnosticato nel 1973 a Blass, un pitcher dei Pirates che di colpo aveva perso la capacità di lanciare strikes.

È in questa crisi del giocatore che si inseriscono altri personaggi: il rettore dell'università Guert Affenlight, specialista in Herman Melville (l'autore di Moby Dick), e sua figlia Pella, in fuga da un matrimonio naufragato. E lungo le vicende della squadra sul diamante e della vita universitaria, Henry e i suoi rischiano di perdersi davanti all'imponderabilità di eventi che li lasciano indifesi davanti alle convenzioni sociali,  al peso della colpa, alla logica del castigo.

The Art of Fielding è quindi un romanzo che incrocia felicemente la baseball fiction con il genere della campus novel (le narrazioni ambientate nel mondo accademico) e del bildungsroman (il romanzo di formazione), ma è anche un'eccezionale riflessione sulla scrittura, con decine di riferimenti a autori e opere letterarie, a cominciare dallo stesso titolo (che rimanda a Henry Fielding, autore del romanzo settecentesco Tom Jones) per continuare con Melville, T.S. Eliot, Marco Aurelio, Epitteto, Pynchon…  

Un romanzo dall'avvio ironico che si rivela subito profondissimo e che riprende sottilmente il filo con cui George Plimpton ne Il curioso caso di Sidd Finch del 1987 (pubblicato da pochissimo in Italia dalla 66thand2nd) aveva intessuto il rapporto fra baseball e filosofie orientali. Perché per Henry Skrimshander il baseball è in qualche modo una forma d'arte, un esercizio di perfezione, un mezzo di elevazione personale di fronte alla fragilità della vita:

Tutto ciò che aveva desiderato era che nulla cambiasse mai. O che le cose cambiassero solo in meglio, migliorando poco a poco, giorno dopo giorno, per sempre. Detto così sembrava una pazzia, ma questo è quanto il baseball gli aveva promesso, il Westish College gli aveva promesso, Schwartzy gli aveva promesso. Il sogno di avere ogni giorno lo stesso. Ogni giorno era come il precedente, solo un po' migliore. Sulla pista correvi un po' più veloce. Sulla panca facevi un po' più di flessioni. Nel tunnel battevi la palla un po' più forte; poi ti rivedevi nel videotape con Schwartzy e comprendevi un po' meglio il tuo swing.  Il tuo swing diventava un po' più semplice. Tutto diventava più semplice, poco a poco. Mangiavi lo stesso cibo, ti svegliavi alla stessa ora, indossavi gli stessi vestiti. Pruriti, cattive abitudini, pensieri inutili – tutto ciò di cui non avevi bisogno scivolava via lentamente. Tutto ciò che era semplice e utile perdurava. Miglioravi poco a poco fino al giorno in cui tutto diventava perfetto e restava così. Per sempre. Sapeva che detto così sembrava una pazzia. Voler essere perfetto. Ma adesso sentiva che questo era ciò che aveva desiderato sin dalla nascita. Forse non amava il baseball ma solo l'idea di perfezione, di una vita perfettamente semplice in cui ogni mossa aveva un significato, e il baseball era solo il mezzo per conseguirla.

Non è un caso che Plimpton e Harbach, due autori diversamente protagonisti del mondo culturale e letterario americano, abbiano visto nel baseball l'humus fertile su cui far crescere le traiettorie vitali dei propri personaggi, la metafora ideale per rappresentare le nostre aspirazioni e l'errore che le manda in frantumi, la complessità dell'esistenza e l'insorgere della crisi che incrina le certezze. Ma quello sull'errore nel baseball e nella letteratura è un discorso che riprenderemo nel nostro prossimo appuntamento.

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Un vita spezzata in tre: venticinque anni a Roma (lanciatore e ricevitore in serie C), venticinque anni in Spagna (con il Sant Andreu, il Barcelona e il Sabadell, squadra di cui è stato anche tecnico, e come docente di Letteratura Comparata presso le università Autónoma de Barcelona e Extremadura), per approdare poi in terra umbra (come professore associato di Letteratura Spagnola presso l'Università di Perugia). Due grandi passioni: il baseball e la letteratura (se avesse scelto il calcio e l'odontoiatria adesso sarebbe ricco, ma è molto meglio così...).

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