Se ripassiamo mentalmente le trame dei romanzi di cui abbiamo parlato in questi mesi, vedremo che in molte di esse c'è un punto di inflessione in cui la sorte del protagonista cambia di segno passando da una strabiliante serie di successi alle miserie di una crisi apparentemente inspiegabile.
Per esempio nella trama di The Natural di Bernard Malamud (Il migliore, 1952, pubblicato in Italia dalla Minimum Fax) c'è un momento in cui qualcosa si spezza nella traiettoria ascendente di Roy Hobbs. Prima chiude una partita contro i Braves senza ottenere valide, poi incredibilmente resta a secco anche contro i Dodgers: il "campione venuto dal nulla" dei NY Knights sprofonda in una crisi di gioco e colleziona solo eliminazioni al piatto. La serie negativa si allunga e Roy finisce in panchina mentre fuori dal campo sta per scivolare nel pericoloso mondo delle scommesse illegali.
Pensiamo ora a Sister Timothy, la suora afroamericana protagonista di Spitballs & Holy Water di James Donohue (1977), capace di fermare il tempo e rendere così imbattibili i propri lanci. All'improvviso, nel bel mezzo della partita contro gli Yankees, Sister Timothy perde ogni potere "divino", concede ai battitori avversari una sfilza di tripli e fuoricampo e per la sua squadra, gli American Giants, si prospetta una sconfitta che avrebbe conseguenze disastrose per l'intera nazione.
E cosa dire de Il curioso caso di Sidd Finch? Nel romanzo di George Plimpton (pubblicato in italiano il mese scorso dalla casa editrice 66thand2nd), il pitcher buddista con un braccio da 270 km/h in prova con i New York Mets perde la capacità di concentrazione e con essa il controllo: ora ogni caricamento sul mound finisce in un lancio pazzo -pericolosissimo per catcher e battitore, data la velocità a cui viaggia la palla…- e l'incipiente carriera del fenomenale Sidd sembra essere arrivata già alla fine.
Ma la rappresentazione più impattante della crisi del giocatore di baseball la leggiamo in The Art of Fielding di Chad Harbach (in uscita in questi giorni in Italia con il titolo L'arte di vivere in difesa presso la Rizzoli): l'interbase Henry Skrimshander sbaglia un'assistenza in prima proprio mentre sta per battere il record di partite consecutive senza errori. A partire da quel momento la sua vita e quelle degli altri personaggi del romanzo prendono una piega inaspettata.
Sembra dunque che molte narrazioni sul baseball siano incentrate appunto sulla crisi del protagonista, presentato come una specie di eroe (a volte dotato persino di una specie di superpoteri) che in un momento dato cessa di essere perfetto, imbattibile. Una svolta scoppiata la crisi, assieme a lui corre il pericolo di crollare un intero universo di valori e di affetti, perché quello che sembra una casualità, un incidente esterno, in realtà ha delle profonde radici nella psicologia del personaggio o comunque nella sua visione del mondo. Che poi la storia abbia un esito positivo o meno dipende dalla capacità dell'eroe di superare l'ostacolo e di recuperare il proprio equilibrio interno.
L'incidente produce quella che Aristotele nella sua Poetica -il primo trattato teorico sulla letteratura- chiamava peripezia, cioè "il mutamento dei fatti nel loro contrario" che determina "il passaggio dalla felicità all'infelicità o vicecersa". La peripezia è un elemento fondamentale della struttura narrativa, è ciò che, data una situazione iniziale, fa progredire l'azione, la fa cambiare di direzione, mette in moto i personaggi e rende quindi la narrazione più attraente, anzi, in un certo senso la rende possibile: se non "succede qualcosa", non abbiamo nulla da raccontare. Nel baseball questo "qualcosa" di negativo possiede due caratteristiche: a) è quantificabile nelle statistiche (una bassa media battuta, un'alta percentuale di PGL, un elevato numero di errori difensivi); e b) è attribuibile con chiarezza a un unico giocatore. In The Art of Fielding il catcher Mike Schwartz riflette così sulla questione nei giorni seguenti all'errore di Henry:
Il baseball, seppur nella sua quietezza, era uno sport stranamente angosciante. Il football, il basket, l'hockey, il lacrosse- quelli erano sport di contatto. Potevi renderti utile facendoti largo a suon di botte per superare l'avversario. Potevi redimerti attraverso il puro agonismo. Ma il baseball era differente. Schwartz lo considerava omerico- non una mischia ma una serie di duelli isolati. Il battitore opposto al lanciatore, il fielder opposto alla palla. Non potevi buttarti all'assalto, sbuffando e colpendo la gente come faceva lo stesso Schwartz quando giocava a football. Restavi fermo in piedi e aspettavi e cercavi di calmare la mente. Quando arrivava il tuo momento dovevi essere pronto, perché se facevi una cazzata tutti avrebbero saputo di chi era la colpa. Che altro sport non solo stilava una statistica crudele come quella degli errori ma addirittura la affiggeva sul tabellone per farla vedere a tutti?
L'errore è sì individuale, ma si ripercuote su tutta la squadra producendo la peripezia in senso negativo. Ciò fa sì che il singolo rimanga facilmente schiacciato dal peso della responsabilità di fronte ai suoi compagni e al mondo, e che nella narrazione la sua crisi sportiva e psicologica diventi l'oggetto ideale attorno a cui far ruotare il romanzo. Quanto più importante è il ruolo del giocatore in campo, tanto più profondo sarà il dramma scatenato dalla crisi. Per questo i protagonisti di questo tipo di narrazioni sono spesso fuoricampisti o lanciatori.
Dal prossimo appuntamento cominceremo quindi una serie di riflessioni sui romanzi che hanno come personaggi principali i pitchers, cominciando dagli albori della baseball fiction dei primi del Novecento, passando per opere notissime come The Celebrant di Eric Greenberg (1983) o For Love of the Game di Michael Shaara (1991, pubblicato in italiano dalla 66thand2nd con il titolo La partita perfetta) per arrivare ai libri di uno scrittore-lanciatore che sta per debuttare da noi nella IBL… Qualcuno ne indovina il nome?
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