Capita che il logorio di questo pazzo, pazzo gioco (come è successo in una partita di 23 riprese tra i Mets e i Giants allo Shea Stadium) permette alle leggende di risalire dal profondo ed emergere. Basta dar loro la giusta spinta, secondo i tempi che la natura scandisce. Non sempre i frutti più grossi sono i più buoni, non sempre nuvole passeggere e astute presagiscono ad un imminente temporale. E così sono le leggende. Quelle vere sono come l'amore. Nascono e crescono nel tempo.
È il caso di due lanciatori che si sono affrontati per ben 26 riprese. La partita venne interrotta dall'arbitro per oscurità sul punteggio di 1-1. Era il 1 maggio del 1920, le squadre coinvolte erano quelle dei Brooklyn Dodgers e dei Boston Braves. I due eroi lanciatori furono: Leon Cadore (Brooklyn) e Joe Oeschger (Braves). In pratica lanciarono per quasi 4 ore. 3 partite complete di baseball (due partite da 9 riprese e una da 8). Quello fu un confronto eroico, senza precedenti tanto da oscurare prestazioni come quelle del vecchio "Iron Man" McGinnity il quale vinse "tre doppi incontri" nel mese di agosto del 1903.
Ed ecco allora che nasce la leggenda di Leon e Joe. Si dice che entrambi i lanciatori diedero tutto loro stessi in quella battaglia di 26 riprese tanto da provocarne la fine della loro carriera. La temeraria galanteria dei due antagonisti, nella ricerca della vittoria, fu l'argomento di discussione che terminò con un solenne verdetto: "I due pitcher non furono più gli stessi!". Sorprendentemente, come succede in diverse leggende dello sport, i due lanciatori non accusarono nessun tipo di malessere, nè al gomito, nè alla spalla e nemmeno ai legamenti. Cadore, negli anni successivi, ha sempre ricordato con orgoglio quella maratona di 26 riprese dicendo di sentirsi fiero per aver scritto il suo nome nell'albo delle leggende. Ma le statistiche suggeriscono non pochi quesiti e aprono una falla, una piccola "insenatura" dentro questa leggenda. Cadore esordì in Major nel 1915. Due anni dopo, nel 1917, aveva un record di 13-13, e nel 1919 di 14-12. Le 26 riprese lanciate nel 1920 portarono il record finale stagionale di Cadore a 15 vittorie-14 sconfitte. Contribuì anche alla vittoria del pennant da parte dei Dodgers. In seguito perse la prima partita delle World Series contro Cleveland. Nel 1921 Cadore vinse 13 partite e ne perse 14, il che ci dimostra che fu una prestazione stabile, diciamo in linea con il suo standard. Quindi, fino a quel momento, non vi erano evidenti segnali che quelle 26 riprese avessero danneggiato il braccio di Cadore. Nel 1922, il pitcher vinse 8 partite perdendone 15. Ed ecco che in molti diedero la colpa a quella partita del 1 maggio 1920. Ma nel 1922 Cadore aveva 31 anni ed è abbastanza normale che dopo 9 campagne in Major League a quell'età un lanciatore possa perdere un pò della sua efficacia. Nel 1923 Cadore passò ai White Sox, nel 1924 ai Giants e dopo terminò la sua carriera.
Il percorso di Oeschger fu leggermente diverso. Ebbe una buona annata nel 1917 con i Phillies quando vinse 15 partite. Nel 1918 il suo record fu di 6-18. Nel 1920, l'anno della "partita maratona", Oeschger ebbe la sua migliore stagione con 15 vittorie per poi migliorare nel 1921 con 21 successi. Come Cadore, nel 1922 vinse solo 6 partite e nel 1923 ne vinse 5 alimentando così le opinioni di coloro che videro quei 26 inning lanciati come unica causa del declino sportivo dei due pitcher. Sta di fatto che quella maratona non lasciò danni permanenti ai giocatori. Quando si sale sulla "collina" non si vuole mai scendere e l'eroico confronto non a torto ha oltrepassato quel confine che separa l'essere umano dalla leggenda. Il fatto curioso è che il giorno successivo, i Dodgers persero 4-3 alla "tredicesima" ripresa contro i Phillies; e che il giorno successivo ancora, il 3 maggio, i Dodgers persero 2-1 alla "diciannovesima" ripresa contro i Braves. Quindi giocarono un totale di 58 riprese (quasi 6 partite e mezzo) in tre giorni consecutivi senza vincerne una. Non c'è da chiedersi perchè gli stessi tifosi dei Brooklyn soprannominarono la squadra "The Daffiness Boys" (Pazzi e stupidi ragazzi)!
Per le strade di Brooklyn, tutti parlano dei Dodgers. Gruppetti di bambini agli angoli delle strade osservano con interesse le poche figurine dei campioni di baseball a disposizione, mentre il capo di quella piccola gang controlla il carretto pieno di donuts e dolcetti. Sta studiando uno stratagemma per poter distrarre il venditore in modo da accaparrarsi un fresco pasticcino profumato. Sono teneri cuccioli spelacchiati con le guance sporche e le ginocchia rigate, segno del continuo grattarsi. Sono immagini viste in bianco e nero nelle pellicole di Buster Keaton o Charlie Chaplin. Più avanti un vecchio vagabondo è sorretto nei suoi passi da un bastone che somiglia a un grosso ramo d'albero. Lo stringe con le sue mani rugose, le sopracciglia folte nascondono i suoi occhi scuri di un passato avventuroso. Ora si ferma. Il suo è il respiro di chi dice "Ormai è andata così". C'era un tempo in cui il vecchio "Aqualung" diceva: "Chissà come andrà!" Quel tempo è andato, preda del vento come lo sono adesso quei fogli di giornale che svolazzano e danzano nel grigio pomeriggio di Brooklyn. Con la punta del bastone riuscì a bloccare un foglio che casualmente il vento gli aveva deposto ai piedi. Il vecchio "Aqualung" si fermò. "Wait 'til next year!" così era scritto. Sollevò il bastone e le sue vuote pupille seguirono quel foglio di giornale che riprese la sua danza allontanandosi col desiderio che prima o poi tutto succederà.
I "Daffiness Boys" non stavano andando bene. Due tifosi erano seduti all'Ebbets Field. Uno guardava il diamante, con i Dodgers che stavano facendo una rimonta contro i Giants; l'altro era concentrato a scrivere tutte le azioni sul foglio dello scorer. "Hey! Guarda!" disse il primo affondando il gomito nel fianco dell'altro. "I Dodgers hanno tre uomini in base". L'amico non guardò nemmeno. "Si?" disse casualmente: "Quale base?". Ecco, questa era l'attitudine accumulata nel corso degli anni da molti tifosi della squadra. Questi erano i "Daffiness Days", dove tutto era possibile (e spesso succedeva) all'Ebbets Field. Negli anni venti, Babe Herman fu uno dei più disastrosi corridori sulle basi. Nel 1926, contro i Boston Braves, Herman fu coinvolto in una azione di gioco "inimmaginabile" per ogni tifoso di baseball. Hank DeBerry era in terza, Dazzy Vance in seconda, e Chick Fewster era in prima base quando Herman entrò nel box di battuta. Herman colpì la pallina verso l'esterno destro la quale iniziò a carambolare contro il muro. DeBerry segnò il punto; Vance, decidendo di avanzare di una base, arrivò in terza, Fewster invece decise di avanzare di due basi arrivando in terza dove stava Vance. Herman, il più ambizioso di tutti decise di arrivare in terza base. All'improvviso vi furono tre corridori in terza! Ma non per molto. Herman arrivò in scivolata e Fewster saltò per evitare la collisione con le gambe di Herman e venne dichiarato "OUT" per aver passato il corridore. Vance a quel punto era l'unico in posizione regolare ma Herman venne eliminato per toccata dal terza base il quale aveva ricevuto la pallina lanciata dall'esterno destro verso il diamante. Nonostante questo assurdo incidente, i Brooklyn vinsero la partita per 4-2. In un'altra occasione Herman ottenne un valido nel "gap" tra l'esterno centro e sinistro con un corridore in prima. Sicuro di aver ottenuto un doppio, Herman, a testa bassa, arrivò in prima base per poi proseguire verso la seconda base. L'altro corridore, che era in seconda, pensò che la pallina battuta potesse essere presa al volo. Rapidamente si girò per tornare in prima base. Sta di fatto che entrambi i corridori si incrociarono per proseguire in direzioni opposte! "Tutto è successo all'Ebbets Field!" Il vecchio "Aqualung" si è accasciato all'angolo di una strada con la schiena appoggiata ad un cumulo di mattoni, i residui di un antico muro di un palazzo ormai fatiscente. Stringe il suo bastone al petto, il suo corpo è immobile e la sua testa è reclinata sul fianco. Non respira, ma i suoi occhi cavalcano quel foglio di giornale cullato dal vento. Ora non si chiede più: "Chissà come andrà!" I bimbi lo osservano, si guardano e si chiedono: "Chissà dove andrà?". Forse un giorno li incontreremo ed anche a loro potremo dire: "È andata così!".
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