Non sono dei grandi giorni per Nettuno. A parte il meteo, tre brutte notizie si sono accavallate nel giro di poche ore. Ultima in ordine di tempo quella della scomparsa del primo tifoso della squadra, Rolando Belleudi, detto anche "Il Cittadino". In mezzo la partenza non annunciata di Ray Sadler , prima ancora la scomparsa di uno dei giocatori storici, Domenico Benedetti, di cui oggi (martedì 22 maggio) si terranno le esequie. Se nel caso dello statunitense tutto sommato non è niente di irreparabile, il mondo del baseball perde due grandi personaggi.
Memmo Benedetti aveva 85 anni quando si è spento. Inutile dire che ha fatto parte del primo nucleo che ha plasmato la tradizione del baseball a Nettuno. "Indimenticato Campione", così nei manifesti la società lo ha voluto ricordare. E un ricordo ce lo fa anche Ruggero Bagialemani, che lo premiò nel '99 quando vennero consegnate le tessere vitalizie alle vecchie glorie, e che fu uno dei suoi allievi quando allenava. "Era un grande – ha detto il manager del Nettuno – e la cosa che mi porterò sempre con me è che una volta mi disse che sono stato il giocatore più forte che ha allenato".
In esclusiva, vi forniamo alcuni stralci di quella che probabilmente è stata una delle sue ultime interviste rilasciate in occasione della stesura del libro "I Nove Uomini d'Oro".
"Ho iniziato a giocare a softball nel 1945, proprio agli albori, quando era ancora completamente sconosciuto questo sport. Poi andai alla Caserma Piave nel 1947, quando con Alberto Fasano venne formata la primissima squadra che rappresentava Nettuno. E successivamente con la Libertas, che nacque da una "costola" della Ps Nettuno e che poi diede vita alla prima squadra di baseball vero e proprio".
La sua carriera fu sfolgorante, e fece parte della squadra che vinse tutto negli anni gloriosi. "Quando partii militare lo feci insieme a Tonino Marcucci (storico ricevitore del Nettuno, nda), e quando tornammo trovammo che c'era Charles Butte e poi Horace McGarity, che stava allestendo la squadra per partecipare al campionato italiano. E soprattutto, trovammo il baseball, che era diverso dal softball. E dal "mago" McGarity imparammo moltissimo e vincemmo anche molto".
La carriera finì però di fatto nel 1960. "Partii per l'Africa e tornai nel 1960, e le cose erano profondamente cambiate. In squadra trovai Giulio Glorioso come allenatore, non trovato spazio in campo e alla fine smisi di giocare".
Di ricordi, a dire il vero, quel giorno Benedetti ce ne snocciolò tanti. Ma uno in particolare riguarda la sua esperienza con la nazionale. "Quando sono andato nel 1953 a giocare il campionato europeo ad Anversa, ogni giocatore era scortato da un soldato con un moschetto di due metri. Era una situazione molto particolare. I belgi volevano vincere per forza quel giorno, pioveva e fu veramente dura, ma non persi mai la concentrazione. Fatto salvo durante l'inno nazionale. Ammetto che in quel momento mi commossi".
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