Nel corso degli anni ‘30, dopo il consolidamento di quella che si è soliti chiamare baseball fiction (il genere nato, come abbiamo visto, in margine alle cronache sportive a cavallo fra Ottocento e Novecento), il battiecorri cominciava a fare capolino in episodi minori delle trame della narrativa "seria". Nel contesto del romanzo sociale dell'epoca, i personaggi di opere come Studs Lonigan di James Farrell si ritrovavano a giocare partite su campetti di periferia o rievocavano episodi della loro infanzia in cui mazze e guantoni avevano un ruolo prominente.
Un autore notissimo da noi che dà per l'appunto spazio al baseball nei suoi lavori è l'italoamericano John Fante (1909-1983). La fortuna critica di Fante è stata altalenante: scrittore di un certo successo negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, è poi vissuto soprattutto del suo lavoro di sceneggiatore a Hollywood fino agli anni ‘70. Prima di morire devastato dal diabete, cieco e con entrambe le gambe amputate, riuscì a pubblicare quello che è forse il suo capolavoro, The Brotherhood of the Grape, 1977 (La confraternita dell'uva, Einaudi, 2004) e a lasciare a sua moglie Joyce molti manoscritti inediti che furono oggetto di pubblicazioni postume. Riscoperto grazie anche alla pubblicità che dei suoi lavori fece Charles Bukowski, negli ultimi anni Fante è diventato un caso letterario e i suoi libri sono stati tradotti ripetutamente in tutto il mondo.
Il protagonista delle sue storie è quasi sempre un adolescente irrequieto, che in quattro dei suoi romanzi maggiori è presentato con il nome di Arturo Bandini, in quella che è conosciuta per l'appunto come la "tetralogia di Bandini": Wait Until Springtime, Bandini 1938; Ask The Dust 1939; Dreams of Bunker Hill 1982; The Road To Los Angeles 1985, ma scritto nel‘36; (tutti reperibili in traduzione italiana presso Einaudi: Aspetta primavera, Bandini, 2005; Chiedi alla polvere, 2004; Sogni di Bunker Hill, 2004; La strada per Los Angeles, 2005).
Arturo Bandini è una proiezione autobiografica dell'autore: come Fante, anche il giovane Bandini è figlio di un muratore emigrato dall'Abruzzo, vive a Boulder, in Colorado, e sogna di viaggiare in California per diventare un giocatore di baseball professionista. Lo stesso Fante da ragazzo aveva una grande passione per il baseball che aveva praticato presso il collegio dei gesuiti dove studiava. Arturo freme per poter fuggire di casa, allontanarsi dalla miseria della sua famiglia, dai modi bruschi di suo padre, da un'italianità che lo marchia negativamente agli occhi della società WASP americana. E attende -come dice il titolo del romanzo del '38- che arrivi la primavera e che si sciolga la neve che impedisce ai muratori italiani di lavorare e ai ragazzi di giocare a baseball.
Il baseball appare ripetutamente anche nelle sue prime short stories, pubblicate nel 1940 con il titolo di Dago Red (traduzione italiana: Einaudi 2006), in cui è ritratto l'ambiente degli emigrati italiani e dei loro figli (il titolo fa riferimento al vino rosso che gli italiani -chiamati dispregiativamente "dagoes"- facevano per conto proprio in cantina). In uno di questi racconti, Big Leaguer ("Professionista"), si narra la storia di un bambino ribelle alla disciplina della scuola cattolica in cui -da buon figlio di immigrati italiani- frequenta le elementari. Quando l'onnipresente Suor Agnes lo vuole redimere (o domare) e lo rimprovera per il suo comportamento, il bambino si difende snocciolando le proprie virtù come battitore, capace di imprese incredibili in ogni partita. E intanto si dedica a perseguitare la povera suora giocandole ogni tipo di scherzi e commettendo persino un furto.
Big Leaguer ci dà un'idea della visione che il baseball poteva avere nell'immaginario collettivo delle nuove generazioni e nella letteratura successiva. Non più il mondo edulcorato della baseball fiction per ragazzi, dove un Frenk Merriwell acqua e sapone affermava sul campo i valori in positivo di una società presentata come armoniosamente allineata sui valori americani. No, l'America che si legge in filigrana nella prima narrativa di Fante è quella delle certezze incrinate dalla Depressione dopo il Crash del '29, quella vista dal basso degli immigrati che non riescono (o non vogliono) sciogliersi e sparire nel crogiuolo etnico auspicato dall'establishment (quel Melting Pot che stava già mostrando le proprie crepe ideologiche e sociali). Il baseball è allora per l'adolescente il simbolo di un'alterità che si afferma contro il discorso egemonico degli adulti incentrato sulla bontà del lavoro, la strada ludica su cui incamminarsi per sfuggire alle logiche allo stesso tempo rassicuranti e oppressive delle convenzioni sociali imperanti. Fra i primi ricordi "letterari" di Fante c'è dunque quest'associazione fra il baseball e la ribellione alle regole, esemplificata nel furto finale. Non è un caso che alcuni critici abbiano rintracciato in questi racconti il germe della scrittura ribelle della generazione seguente, la Beat Generation dei Kerouac e dei Ginsberg.
Ma se la presenza del battiecorri, seppur col contagocce, è continua in tutti i suoi lavori, è soprattutto nel romanzo 1933 Was A Bad Year, pubblicato postumo ma scritto negli anni '60 (in italiano: Un anno terribile, Fazi 1996), che Fante sviluppa al meglio il motivo adolescenziale del baseball come orizzonte di fuga per l'individuo. È quanto vedremo nel nostro prossimo appuntamento.
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