Lo guardi negli occhi che brillano di felicità e vedi riflesse le immagini di uno stadio Europeo gremito all'inverosimile ed esultante per una sua spettacolare giocata difensiva, per un fuoricampo di Castelli, per uno strike-out di Bertoni, Miele o Gioia. Tutti vestiti con le divise bianco verdi della mitica Germal che fece impazzire una città intera nella seconda metà degli anni '70. Lui è Ron Coffmann, l'indimenticato interbase americano che di quella squadra era un leader e che ieri sera era a Parma per incontrare i vecchi compagni di squadra, i tecnici, i dirigenti e i tifosi che allora erano ragazzini, mentre oggi sono adulti e nello scorrere le foto scattate all'epoca da Stefano Sivelli si sono lasciati scappare qualche lacrimuccia. Come quando Ron, imbeccato da Don Sergio, ha voluto ringraziare pubblicamente i presenti: "Sono tornato perché mi sono innamorato della gente di Parma – ha spiegato – perché, indipendentemente dalle grandi vittorie, qui mi sono sentito a casa mia. Tante volte ho pensato di essere più parmigiano del sasso che americano. Questo credo sia il complimento più bello che possa farvi"
Era arrivato a Parma nel 1974, dopo una breve esperienza a Bologna, dove "il primo a notarlo era stato Guido Pellacini – ha spiegato Don Sergio, il prete con il guantone, nume tutelare del baseball ducale- e ci siamo subito messi in moto per farlo venire a Parma. Non avevamo molti soldi così ci accordammo per una bottiglia di lambrusco" ha concluso scherzosamente.
Sul diamante di viale Piacenza ha incantato per quattro stagioni, condite da due scudetti (76-77), due Coppe dei Campioni (77-78), una Coppa del Mediterraneo e una Coppa dei Club.
Ma soprattutto "quello" scudetto, il primo, indimenticabile, della storia di Parma: "Vincere il primo titolo nel 1976, con tre sole sconfitte su cinquantaquattro partite, davanti al nostro pubblico è stata la gioia più bella – ha detto l'ex numero 14 della Germal – Ero molto contento per i compagni, dirigenti e tifosi che l'aspettavano da tantissimo tempo!" Poi ricorda la leggendaria vittoria contro gli olandesi dell'Harlem Nichols nella prima fase della Coppa Campioni l'anno successivo:"Anche quella volta c'era lo stadio pieno e fu una partita molto chiusa, con quattro fuoricampo e sorpassi continui. Alla fine abbiamo vinto 6-4 e siamo andati in finale"
Ma c'era qualcosa di speciale a fare la differenza:"c'era un bellissimo spirito di squadra, eravamo grandi amici prima di tutto. Questo non si trova dappertutto. Non si può dire che non fossimo una squadra forte, nel gruppo c'erano dei veri fuoriclasse, ma se non c'è il gruppo il talento non basta"
Ora è cambiato tutto, soprattutto il teatro delle gesta dei campioni del baseball non è più lo stesso: "Quando sono passato in viale Piacenza e ho visto che non c'è più ho provato grande dispiacere, perché li ho lasciato tantissimi ricordi, su quel campo ho vissuto momenti meravigliosi. Sono consapevole che le cose cambiano e c'è il progresso, d'altronde se hanno abbattuto lo Yankee Stadium, ci può stare, ma quello stadio avrà sempre un posto di riguardo nel mio cuore." Segue comunque da lontano, grazie anche ai racconti di Sal Varriale, le gesta del baseball parmigiano "non so perché ora c'è meno seguito, su questo non sono informato, ma sono contento di sapere che ci sono ancora tanti campi, con un complesso splendido come questo (eravamo all'ingresso del Quadrifoglio) e che tante società fanno attività giovanile per far giocare molti bambini. E' importante!"
In chiusura, dopo avergli fatto i complimenti per il suo italiano – "ma Sal Varriale lo parla molto meglio e conosce molte più parole!"– gli chiedo qual è stato il giocatore avversario che l'ha messo maggiormente in difficoltà in Italia e lui, un po' a sorpresa risponde sicuro: "Quando andavo in battuta non riuscivo mai a colpire i lanci di Carlo Passarotto dl Milano, era veramente bravo". Con buona pace di chi si aspettava il nome di Romano, Orrizzi e compagnia.
Per gli aneddoti ci sono i suoi ex compagni, accorsi in massa per questa serata amarcord. Gianni Gatti ricorda che "Ron era sempre l'ultimo difensore ad uscire dal campo dopo il terzo out, perché si fermava a coprire i buchi che faceva con i piedi nella sua posizione difensiva. Puliva il campo per l'avversario che difendeva dopo di lui. Credo che questo spieghi alla perfezione lo spessore del personaggio: un vero signore!"
Poi Ron Coffman, dopo avermi ringraziato e salutato calorosamente, torna a concedersi all'abbraccio degli amici che non lo hanno dimenticato: "Sono tornato dopo 19 anni dall'ultima mia visita, ma in realtà non me ne sono mai andato". Ci sono quasi tutti. Aimi, Bertoni, Costa, Fornia, Reverberi, Iaschi, Rizzi, Corradi, Gatti, Savignano, Sergio Colla, Ricci, Varriale e tanti altri. Un abbraccio meritato per un campione che ha scritto pagine straordinarie della storia del baseball e della città di Parma, ma soprattutto per un uomo dallo spessore morale sopra la norma!
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