E' il giorno della verità. Non tanto perché possano vincere Fraccari o Carnevale o Micali, ma perché il mondo del baseball italiano dovrà trovare il coraggio di guardarsi in faccia e capire dove andare. In attesa del responso delle urne, in un clima di grande incertezza che dà un'importanza straordinaria all'assemblea, in cui i candidati dovranno conquistare la grande massa degli indecisi, non resta che fare un passo in avanti. Domani infatti sarà un giorno molto più importante di oggi, perché chiunque esca vincitore da Salsomaggiore, dovrà guardarsi attorno e cercare di non disperdere il patrimonio umano – già povero nel nostro baseball – che questa assemblea ha espresso. Riccardo Fraccari – se dovesse essere confermato – dovrà cercare di non far scomparire nuovamente nel nulla Claudio Carnevale, così come Carnevale – in caso di successo – avrà bisogno di un Fraccari comunque forte della sua esperienza e della sua presidenza mondiale. Senza contare che Micali ha avuto il coraggio di agitare le acque ed è comunque portatore di idee da non trascurare.
In questo panorama, comunque, saranno ancora una volta le società a doversi sforzare di fare quel passo che non riescono mai a fare. Le società di vertice, quelle della IBL per intenderci, dovranno assumersi le loro responsabilità davanti al movimento, non potranno lasciare ancora una volta tutto in mano alla federazione. Sia Fraccari, sia Carnevale, sia Micali, infatti, ci sembrano favorevoli e ben disposti verso la creazione di una lega che possa governare il baseball di vertice in autonomia. Ma servono uomini, idee e volontà di sedersi attorno a un tavolo. Non solo una volta all'anno per un paio d'ore e con l'urgenza di prendere il treno per tornare a casa.
Detto questo, ci permettiamo di chiedere al futuro Presidente – in tempi non sospetti – di mettere subito al centro del proprio mandato alcuni punti fondamentali. Partendo dal pubblico, dallo spettatore, dal singolo appassionato che dovrebbe essere il destinatario numero dei nostri sforzi e che invece spesso e volentieri è l'ultimo dei pensieri della federazione e delle società. Uno sport si misura in proporzione al pubblico che sa interessare e da questo bisogna ripartire. Con onestà, con il coraggio di saper mettere sul tavolo i dati dei botteghini, senza nasconderci dietro le valutazioni benevole dei classificatori. Bisogna capire quali sono le falle del nostro sistema, dal campionato troppo breve alla partita del sabato pomeriggio, all'estenuante (per tutti) doppio incontro, alla lunghezza delle partite, agli extrainning, agli orari delle notturne che ti mandano a letto alle due, ai recuperi programmati a mezzogiorno della domenica. Tutte cose che fanno male allo spettatore del baseball, come lo farebbero a quello di qualsiasi sport. Potrebbero servire anche scelte coraggiose, rivoluzionarie (le due partite, il pareggio, i sette inning, tutto quanto può fare spettacolo e attirare la gente), come altri sport hanno avuto il coraggio di fare. Senza rinchiudersi dietro l'ossequio alla tradizione, dietro le pretese dei tecnici, dietro i riferimenti all'America che è e resta lontana.
Nessuno ha la ricetta miracolosa in tasca, l'hanno ammesso per primi i tre candidati, ma forse mettendosi attorno ad un tavolo può uscire qualche idea opportuna. Solo chi ha paura di confrontarsi perde sempre. Se la lega non riuscisse ad essere una lega di capitali, che sia almeno una lega di cervelli. Aperti verso il movimento. Solo così si riuscirà a riformare un campionato che non ha più senso. Si riuscirà a dare una prospettiva a chi fa fatica a mettere insieme gli euro per affrontare la stagione.
Le società di vertice devono rendersi conto che non sono loro la vera espressione del baseball italiano. E quindi l'attività deve essere rimodulata sulle esigenze di chi non riesce ad avvicinarsi a quella èlite. Tanto, chi è più forte e più ricco vincerà sempre, qualsiasi formula dovesse avere il campionato. Ma intanto si farebbe partecipare al ballo anche qualcun altro. E il presidente dovrà avere la forza di far capire che il campionato va organizzato in base al livello medio delle nostre società, non sui desideri di tre, quattro o cinque fortunati.
La Nazionale è l'altro strumento che abbiamo per conquistare il grande pubblico. Una nazionale che non può restare nell'anonimato anche quando compie grandi imprese. Facciamola conoscere, facciamola giocare in Italia, creiamo occasioni, eventi, ma non nelle solite isole felici che alla fine dimostrano di essere anche stufe di vederla. Andiamo alla conquista delle grandi città, come ha fatto qualche sport a cui vogliamo sempre paragonarci. E mettiamo in un cassetto il solito ritornello degli oriundi, degli americani o dei sudamericani camuffati da azzurri: come ha ricordato giustamente il ct Mazzieri, lo sport italiano ormai è pieno di queste situazioni, non siamo più negli anni Settanta. Persino il calcio quattro volte campione del mondo ha pensato di arruolare gli Osvaldo e i Thiago Motta. E il rugby è entrato nel Sei Nazioni grazie alle imprese di uno straordinario argentino, Diego Dominguez, un fuoriclasse che per fortuna aveva una mamma italiana e come tale ha potuto vestire l'azzurro. Ma nessuno si è scandalizzato, dal presidente del Coni al direttore della Gazzetta. Perché dovremmo farlo noi? D'altra parte al Classic – che giustamente d'ora in avanti sarà il vero e unico campionato mondiale – ci dovremo andare con gli italiani d'America se non vogliamo farci cacciare. E speriamo anche che siano buoni.
Lo scandalo vero, semmai, non sono i Latorre e i Colabello, ma i tanti, troppi mezzi giocatori che arrivano da tutta l'America, del Nord, del Centro e del Sud, e occupano tutte le nostre squadre, dall'IBL alla A federale, alla B. Qui dovrà intervenire il nuovo consiglio federale, obbligando le nostre società a deviare le risorse spese per questi inutili immigrati verso i vivai, i tecnici e le attività promozionali. Insomma, pochi stranieri, ma buoni. Come una volta. Cercando di semplificare la vita tra Asi, non Asi, stranieri, italiani di fatto ma non di scuola, tutte regole che aumentano i costi a dismisura e fanno sì che un manager prima di essere un tecnico deve essere un notaio. Tanto è vero che nessuno prende più uno straniero per allenare una squadra di IBL, perché avrebbe bisogno di un anno solo per imparare i nostri regolamenti.
E, già che siamo in tema, vorremmo chiudere sottoponendo al futuro governo federale una questione da risolvere assolutamente, quella degli stranieri residenti. E' assurdo infatti che ragazzi cresciuti e magari anche nati in Italia, non possano giocare nelle nostre squadre una volta raggiunta l'età seniores, solo perché non hanno il passaporto italiano. Se i Latorre e i Colabello servono alla nazionale, i Rodriguez e i Fernandez di turno possono servire alle nostre povere società. Che reclutano più facilmente i ragazzi nelle comunità latino-americane che in quelle nostrane.
A Salsomaggiore c'è solo il playball, ma il nono inning è lontano.
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