"Voglio ringraziare tutte le persone che hanno reso questo giorno necessario" – Yogi Berra
Paolo prese la mazza, si mise il caschetto e andò al piatto come un condannato a morte va al patibolo. E questo non perché di lì a poco sarebbe finito il mondo, ma perché i dominicani avevano cambiato lanciatore e sul monte di lancio adesso c'era Ramon Ortiz in persona. Lui e la sua insidiosissima palla curva. I due coach erano adesso l'uno di fronte all'altro.
Paolo fece qualche swing di prova. Sentiva le braccia rigide, la mazza sembrava di piombo. Ortiz se ne accorse e pensò di approfittarne. Fece il caricamento e lanciò la sua celebre palla curva. Paolo girò e la mancò. Di almeno mezzo metro. Dalla panchina i compagni presero a incoraggiarlo con applausi e grida. Anche Giuliano si unì al coro, sebbene sapesse che suo cugino non era in grado di colpire i lanci di Ortiz. Infatti, il dominicano lanciò un'altra palla curva e Paolo la mancò in maniera persino più clamorosa della prima. Sarebbe stato eliminato con uno strike out e la partita sarebbe finita con uno stupido pareggio.
Paolo chiese gli ultimi scampoli di tempo all'arbitro che glieli concesse e si girò verso la panchina per cercare conforto. I suoi erano tutti in piedi, a battere le mani e a urlare. Spostò lo sguardo sullo sparuto pubblico accalcato sul ciglio della strada. Anche loro applaudivano malgrado, con ogni probabilità, non sapessero perché. Fu in quel momento che Paolo vide Stefania, Camilla e Martino. Erano lì, seduti sulla scarpata vicino alla recinzione, a guardarlo giocare. Lanciò loro uno sguardo colpevole. La moglie si strinse nelle spalle e accennò un sorriso disarmato. Paolo fece altrettanto, poi tornò a guardare Ortiz, già pronto a lanciare quella che in sostanza sarebbe stata la sua ultima palla.
L'ingegnere, padre di famiglia e giocatore di baseball – non necessariamente in quest'ordine – prese posizione nel box di battuta, sciolse le spalle e alzò la mazza, pronto ad affrontare il dominicano: comunque fosse andata, non sarebbe mai stato più pronto di così.
Ortiz fece il suo caricamento e lanciò la pallina. Una curva, naturalmente. Paolo spostò il peso sulla gamba destra, strinse la mazza, tenne gli occhi sulla palla fino all'ultimo e, quando quella cominciò a scendere per via dell'effetto, girò con tutta la forza che aveva in corpo. Si sentì un ‘toc' e, subito dopo, un boato fortissimo. La pallina volò via. I presenti alzarono lo sguardo e la videro attraversare il cielo iridato e perdersi nel sole morente dell'ultima giornata del mondo.
Sarebbe bello, a questo punto, poter dire con certezza che Paolo colpì così forte quella palla da spedirla oltre la recinzione. Un glorioso fuoricampo per la vittoria al Torneo Amatoriale di Baseball del Centro Italia, un senso alla carriera di allenatore di Paolo e un degno finale a questa storia. Ma la verità è che in tutto il maledetto Universo non c'è più nessuno che sappia come andarono le cose, quel giorno, sul campo di via Galba, a Roma. E che l'unica cosa certa è che quella fu davvero l'ultima memorabile partita dei Garbatella Peanuts.
"Se il mondo fosse perfetto non lo sarebbe" – Yogi Berra
Lawrence Peter "Yogi" Berra è nato il 12 Maggio del 1925 a Saint Louis da genitori italiani. Ha giocato per gran parte della sua carriera come ricevitore dei New York Yankees, ma è stato anche allenatore dei Mets. È uno dei quattro giocatori ad aver vinto per tre volte il premio MVP ed è uno dei sei manager ad aver vinto le World Series sia con una squadra della American che con una della National League. Come giocatore, coach o manager, Berra ha partecipato a 21 World Series ed è stato introdotto nella Baseball Hall of Fame nel 1972. È famoso, però, soprattutto per i suoi "yoghismi": aforismi più o meno volontari che qualche volta sono passati alla storia, come questo:
"Non ho mai detto la metà delle cose che ho detto" – Yogi Berra
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