In questa rubrica abbiamo visto come nel periodo dell'affermarsi dello sport professionistico, a cavallo fra Otto e Novecento, la nascente baseball fiction si fosse canalizzata attraverso due generi: i racconti scritti da giornalisti in quotidiani e riviste; e i romanzi per ragazzi, rispondenti spesso a schemi narrativi fissi, i cui protagonisti -come nel caso del coraggioso Frank Merriwell- divennero estremamente popolari fra il pubblico giovanile.
Sulla scia di questo successo, anche Christy Mathewson, il lanciatore idolo delle folle nella cosiddetta Dead-Ball Era, volle cimentarsi con la scrittura per i ragazzi. Fu così che dal 1911 al 1917 apparvero sul mercato quattro romanzi Won in The Ninth, Pitcher Pollock, First Base Faulkner e Second Base Sloan e firmati dal grande Mathewson, anche se in realtà scritti in collaborazione con il giornalista sportivo Will Wroth Aulick. La serie di quelli che vennero subito chiamati i "Matty Books" prevedeva un primo romanzo (Won in The Ninth) in cui si narravano le avventure di una squadra di liceali, per poi proseguire con nove titoli dedicati ognuno a un teenager protagonista, uno per ogni ruolo in campo, ma la serie si interruppe dopo solo quattro volumi.
Varrà la pena addentrarci nel quarto e ultimo libro della serie, Second Base Sloan (1917), il cui testo può essere letto online o scaricato cliccando qui. Nelle prime cento pagine (un terzo del romanzo) ci vengono presentati due ragazzi e un cane provenienti dalla Georgia che camminano in aperta campagna. Il primo di essi, Wayne Sloan, ha diciassette anni e ha abbandonato la casa del patrigno per cercare fortuna al Nord. Lo accompagnano nella fuga June, il figlio di una domestica nera, e il cane Sam. I tre cercano di arrivare a New York, a piedi o viaggiando a scrocco sui treni merci, e sopravvivono facendo mille lavoretti.
Un giorno a Medfield, durante una pausa del lavoro, Sloan gioca a baseball assieme agli operai di una fabbrica. Vedendolo abile sulle basi, i suoi compagni gli consigliano di intraprendere la carriera del giocatore professionista. Sloan è diffidente, ha sentito parlar male dell'ambiente del baseball (e a ragione: siamo a ridosso dello scandalo dei Black Sox del 1919, e le scommesse, l'alcol e la corruzione portavano alla rovina molti giovani), ma chi lo consiglia assume le difese dell'onorabilità del gioco (e qui ci par di sentire le parole dello stesso Matthewson, che non per nulla era soprannominato "The Christian Gentleman"): "Un sacco di gente pensa che passare al baseball professionistico sia come dedicarsi alle rapine. Mettono nello stesso sacco i giocatori di baseball, i pugili e i delinquenti. È vero, c'è stato un tempo in cui fra i giocatori c'erano un bel po' di mascalzoni, ma ormai è acqua passata. Oggi la maggior parte di loro è come tutti noi, e la loro vita è più pulita di quella di coloro che li attaccano. Adesso puoi essere un giocatore professionista e allo stesso tempo un gentiluomo. Molti di loro lo sono. Molti vanno all'università, e praticamente tutti hanno ricevuto un'istruzione. Non pretendono di vivere di baseball per tutta la vita: hanno ricevuto il dono di saper giocare bene a baseball e semplicemente trasformano questo dono in denaro, esattamente come succede a chi sa insegnare il greco e guadagna facendo l'insegnante. È solo una questione d'affari. Ciò che il giocatore di baseball ha in più rispetto a molti di noi, è che ha lui piace il suo lavoro!".
Ma Sloan considera più prudente cominciare da una squadra di dilettanti. È così che il ragazzo approda alla YMCA, la Young Men's Christian Association, l'associazione ricreativa protestante con fini educativi fondata alla metà dell'Ottocento, che fra le sue attività annovera la pratica sportiva (è stata, fra l'altro, la culla di sport come il basket e la pallavolo).
Dopo varie partite giocate fra i dilettanti ecco che spunta l'immancabile scout che gli dice di presentarsi a Steve Milburn, il manager degli Harrisville Badgers. L'allenatore in questione è oltremodo scontroso, un vero burbero che per molto tempo si rifiuta di concedere a Sloan l'agognato provino. Ma qui interviene June, il simpatico compagno di avventure nero che è riuscito a entrare a servizio a casa di Milburn e lo ha convinto che il suo amico Sloan ha davvero la stoffia del campione.
Arriviamo così alla finale del campionato, con i Badgers in difficoltà: proprio prima della partita tre dei loro giocatori sono finiti in ospedale perché coinvolti in un incidente d'auto. Sloan era andato allo stadio per assistere all'incontro, ma l'allenatore lo fa chiamare e gli dà finalmente fiducia: nello spogliatoio gli fa firmare su due piedi un contratto e lo spedisce in campo a giocare in seconda base. La partita (e il romanzo) finiscono ovviamente con la vittoria dei Badgers grazie proprio a una valida di Sloan.
Se la trama può sembrare banale, in realtà l'ascesa del protagonista dalla povertà al baseball professionistico -seguendo lo schema del "from rags to riches" dell'autobiografia di Benjamin Franklin sui cui in America si sono basate tante storie individuali di successo- è costruita con abile gradualità, in una prosa non priva di un gradevole umorismo e dai dialoghi non necessariamente scontati. Certo, la finalità educativa del libro è palese, e i lati negativi del gioco (e della vita) vengono occultati sotto una mano di perbenismo a volte involontariamente comico (un particolare sul tutti: durante la partita il pubblico grida "polite insults", insulti educati, ai giocatori…). La finalità è quella di far immedesimare il giovane lettore nei panni del protagonista, facendogli vivere il sogno di ogni ragazzino: diventare un campione.
Ma letti in controluce, romanzi come Second Base Sloan ci fanno intravvedere usi, costumi, mentalità, regole sociali di cento anni fa oggi improponibili. È il caso del trattamento narrativo che riceve il personaggio di June, sempre subalterno rispetto alla centralità del protagonista bianco Sloan: a June non viene mai proposto di giocare, e anche lassù nel "libero" Nord il ragazzo assume sempre il ruolo di servitore prima de facto del suo amico Sloan, poi dell'allenatore Milburn. È il riflesso di un razzismo che nel baseball di quegli anni segregava i discendenti degli schiavi nelle Negro League, e che nella letteratura per ragazzi mostrava il suo volto più bonario, ma non per questo meno insopportabile.
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