Cosa c'è nella testa di un tifoso? In che consiste il tranfer che si instaura fra l'idolo in campo e chi tifa sugli spalti? Quali ossessioni, quali frustazioni, quali conseguenze può generare nella vita reale ciò che accade sul diamante? Sono queste le domande che costituiscono il telone di fondo di The Fan, di Peter Abrahams (1995), forse il più famoso dei thriller ambientati nel mondo del baseball, pubblicato in italiano nel 2012 dalla sempre encomiabile casa editrice romana 66thand2nd.
Due vite in parallelo. Sul campo c'è Bobby Rayburn, esterno e slugger con 310 di media battuta, nuovo acquisto multimilionario dei Red Sox, che passa per un momento di crisi: il divorzio recente, una certa difficoltà a gestire i rapporti umani all'interno del baseball professionistico, la rivalità con l'astro nascente della squadra, il domenicano Primo, un blocco psicologico cifrato nel cambio del numero di casacca impostogli dalla società, ed ecco che gli strikeout si susseguono, la media scende in picchiata, il pubblico gli si rivolta contro.
Sugli spalti siede Gil Renard, rappresentante di una ditta di coltelli e pugnali in procinto di essere licenziato, anch'egli con una separazione e un figlio conteso alle spalle, un lontanissimo passato di pitcher nella Little League e una passione sportiva senza limiti per il suo idolo Bobby Rayburn.
Le traiettorie vitali dei due uomini, quella del giocatore che vuole risalire la china e quella del tifoso che si avvita in una vera e propria sindrome psicotica, si incroceranno in una trama sempre più avvincente fatta anche di crimini, di sesso, di violenza sadica. Perché Gil non si limita a tifare, ma vuole anche dare una mano alla squadra e far rinascere sportivamente Bobby. Ad ogni costo. E quando scivola nel delitto e si accorge che non c'è gratitudine in chi è stato "aiutato", Gil discende gli ultimi gradini della follia.
Il romanzo di Abrahams, insomma, gioca spietatamente ed efficacemente con le fondamenta stesse del discorso "positivo" imperante nel baseball. The Fan è in qualche modo una storia di padri che non riescono a instaurare un rapporto equilibrato con i propri figli, non riescono a "passare la pallina" da una generazione all'altra (il riferimento è a Fathers playing catch with sons, il libro di Donald Hall), ed è anche una nera parabola sui sogni spezzati della gioventù, di chi ciecamente non si rassegna ad accettare le proprie limitazioni sul diamante e fuori. C'è poi la ripresa del tema della "crisi del campione" (motivo di cui abbiamo già parlato in passato) e lo sguardo disincantato sul mondo professionistico, visto come un circo autoreferenziale in cui giocatori, proprietari di squadre e giornalisti vivono ingannando i tifosi, coloro cioè da cui ci si aspetta devozione incondizionata, introiti economici e, soprattutto, passività. Il sistema crea le regole e divide gli uomini in due gruppi: quelli che scendono in campo -pochi individui eccezionali le cui gesta sono cantate dai mass media- e quelli che il gioco possono solo guardarlo dagli spalti o alla televisione, una massa anonima che accetta la propria posizione subalterna rispetto ai primi. Fino a che qualcuno come Gil Renard, la scheggia impazzita che fa esplodere il sistema, decide di scendere in campo in prima persona.
Scritto durante il celebre sciopero dei giocatori delle Major Leagues che interruppe la regular season del 1994 (per la prima volta dal 1905 non si giunsero a giocare le World Series) e ritardò l'inizio del campionato seguente, The Fan metteva a nudo una serie di questioni che agitavano il dibattito nell'opinione pubblica americana. Siamo di fronte, dunque, a un thriller psicologico apparso nel momento forse più basso della storia del baseball professionistico USA, un romanzo che costruisce personaggi credibili nel loro essere continuamente sopra le righe, riproducendo quelle alterazioni psichiche, quegli eccessi comportamentali e quei guasti morali che i lettori percepivano essere diffusi nel baseball e per estensione nella società degli anni '90. Erano gli anni dell'incipiente globalizzazione, dell'appiattimento del pensiero, della fine della Guerra Fredda e della vittoria nella prima guerra del Golfo, dell'ottimismo clintoniano sotto cui alcuni percepivano già quelle sottili inquietudini nascoste sotto la tanto sbandierata "fine della Storia" che preludiavano all'angoscia collettiva provocata dagli attentati al World Trade Center. Un romanzo, dunque, decisamente superiore agli altri thriller e noir aventi per soggetto il battiecorri che cominciarono ad affollare le librerie dalla fine degli anni 70, un libro che usa il baseball come metonimia per raccontarci il cuore scuro dell'America.
The Fan approdò subito sul grande schermo. Nel 1996 Tony Scott ne diresse la versione cinematografica affidando il ruolo di Gil a Robert DeNiro e quello di Bobby a Wesley Snipes. La pellicola -il cui tirolo per il mercato italiano è Il mito- è di buona fattura, ma modifica e semplifica notevolmente la trama del romanzo. Così, non solo la storia viene trasferita sulla West Coast (nel film Bobby Rayburn gioca con i San Francisco Giants) e Primo diventa messicano, ma viene anche ridotto sensibilmente il ruolo di vari personaggi secondari (fra tutti, Boucicaut "Co", l'ex compagno di squadra di Gil, che nel film appare solo nelle scene finali), mentre altri vengono soppressi, e la trama viene "ammorbidita" notevolmente con l'eliminazione di molti episodi di sesso e violenza e l'aggiunta di un finale spettacolare ma anche un po' melenso.
Il libro di Abrahams è dunque tutto da scoprire e da godere anche per coloro che già conoscono il film. Una lettura imperdibile e che fa riflettere in quest'estate in cui anche qui da noi il baseball e il Paese vivono immersi in una lunghissima, eterna crisi.
Commenta per primo