Fa uno strano effetto leggere su "Sette", il magazine allegato al Corriere della Sera, che "Il baseball è all'ultimo stadio". E non si parla di quello italiano, che ormai l'ultimo stadio l'ha già superato da un pezzo, ma di quello americano. Un lungo e documentato articolo, firmato Costanza Rizzacasa d'Orsogna, in cui si spiattellano tutti i motivi che potrebbero portare ad un ridimensionamento del nostro sport negli Usa nel giro di una decina d'anni. Il numero di ragazzini che giocano dimezzato rispetto a dieci anni fa, il fatto che sia un gioco troppo statico mentre i giovani di oggi sono abituati a ritmi frenetici in tutto, le partite troppo lunghe, tutto quanto sta facendo crollare il gradimento del vecchio passatempo nazionale nelle nuove generazioni.
Esagerazioni. Forse sì. O almeno la nostra prima reazione è quella di rigettare un'ipotesi catastrofica come questa. Chi come noi è cresciuto con l'immagine del baseball americano come Eldorado inarrivabile, non può pensare che tutto quel carrozzone rischi di sgonfiarsi così rapidamente. E probabilmente la signora Rizzacasa d'Orsogna ha un po' calcato la mano nella sua analisi, magari per guadagnarsi quattro pagine sul prestigioso settimanale. Ma indubbiamente qualcosa di vero c'è, se lo stesso nuovo commissioner comincia a correre ai ripari con le regole sui tempi da rispettare per i lanciatori e i battitori.
D'altra parte, anche se tutte le considerazioni dell'articolo non fossero proprio fondate, la realtà è che il baseball americano (e quindi il baseball in senso assoluto) sta trasmettendo proprio questa immagine. E la nostra impressione è che la colpa sia proprio delle Major League che non stanno facendo nulla per cambiare il rapporto tra il baseball Usa e il mondo esterno. Per cambiare l'immagine che articoli come questo stanno trasmettendo.
Noi stessi ci ribelliamo all'idea che l'America possa tradire il baseball per appassionarsi a uno sport "straniero" e lontano dalla sua mentalità come il calcio, ma poi scopriamo che gli Usa vincono addirittura il mondiale femminile del pallone e fanno sfilare le campionesse tra due ali di folla a New York. Non solo, ma la Major League del soccer attira stelle come Pirlo (seppure a fine carriera) e soprattutto ospita le grandi squadre europee in tournèe ogni estate. Tentativi, si dirà. Ma comunque un assalto del calcio a un continente (il Nord America) che può rendere molto in termini di merchandising e non solo.
Dall'altra parte invece c'è l'immobilità totale delle Major League del baseball. Che cosa fanno gli americani per uscire dai loro confini, dal loro dorato (fin che dura) isolamento? Nulla. Anzi, fanno di tutto per ostacolare qualsiasi tentativo di dare un vero respiro internazionale a questo sport , a partire dal boicottaggio sistematico alle Olimpiadi, per non dire del Classic che dovrebbe essere il top di questo sport a livello planetario e invece viene considerato dagli americani alla stregua di uno spring training un po' diverso dal solito…
Perché questi signori della Major League non fanno nulla per portare il loro sport in Europa? Perché non cercano tifosi e audience al di fuori dei loro confini, se la prospettiva è veramente quella che "Sette" ci ha descritto? Perché non si fa nulla per modificare le regole di uno sport rimasto uguale in tutto e per tutto a come lo si giocava due secoli fa? Tutti gli sport hanno cercato di adeguarsi alle esigenze dei tempi, persino i più britannici e conservatori, come il rugby e il tennis, si sono adeguati a modificare le regole. Se anche il sacro tempio di Wimbledon si è inchinato ormai da decenni ad adottare il tie break, perché il baseball non deve pensare a qualche sana modifica per diventare più accattivante nei confronti dei giovani o di un pubblico che fa fatica ad avvicinarsi?
E mentre gli americani padroni del baseball non fanno nulla per andare alla conquista del mondo, scopriamo che persino le star che dovrebbero essere più vicine a noi si innamorano del calcio. Quando abbiamo letto che Mike Piazza, che dovrebbe essere il testimonial del baseball italiano, si è infilato nell'avventura utopistica di salvare il Parma Calcio, siamo rimasti sinceramente un po' sconcertati. Ma come, ci siamo chiesti, un grande del baseball americano decide di investire dei soldi in Italia e va a metterli nel pallone? Al momento abbiamo pensato che fosse stato "traviato" dalla passione di qualche amico parmigiano, ma poi abbiamo scoperto che adesso vuole tentare di prendersi niente meno che il Como. Una squadra neopromossa in serie B con un bacino d'utenza di dimensioni molto relative e una media spettatori decisamente irrilevante nel panorama calcistico italiano. Eppure, piuttosto che dare credito al nostro baseball, piuttosto che fare qualcosa per lanciare il baseball in Europa, meglio mettere i soldi lì. Evidentemente l'articolo di "Sette" non è proprio lontano dalla verità…
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