Le grandi crisi le scorgi dall'alto. Certo, vedi i trionfi della Nazionale, la qualità del gioco dell'IBL. Ma provate a leggere i grandi numeri del movimento, a tracciare i diagrammi, a scrutare le mappe, e scoprirete che gli affiliati diminuiscono, gli spettatori si diradano, le società scompaiono, mentre i diamanti abbandonati punteggiano la geografia di un baseball italiano così differente, così dolorosamente diverso da quella di qualche decennio fa. Dall'alto, da lontano, colpiscono i sintomi, gli effetti delle crisi. I rimedi, invece, li trovi osservando da vicino, costruendo dal basso. E Michael LoPipero e il suo English Baseball Camp organizzato dall'Unione Picena e dall'Associazione Learn & Play di Porto Sant'Elpidio fanno decisamente parte dei rimedi.
Incontro Michael al termine della settimana che ha visto una quarantina di ragazzi imparare l'inglese e giocare a baseball sul diamante di Via Caserta. Ai tavoli del bar del campo siedono gli ultimi ragazzi in attesa che i loro genitori vengano a riprenderli. Stanchi ma felici per un'esperienza così coinvolgente, questi adolescenti hanno negli occhi lo stesso entusiasmo che trasmette Michael quando ti parla di baseball, di attività dal basso, di grassroots, con il trasporto di chi considera il battiecorri qualcosa di più di uno sport. D'altronde Michael (Huntinghton, New York, 1981) è figlio d'arte. Suo padre John LoPipero, giocatore e coach, soprannominato affettuosamente "Johnny Baseball", ha lasciato un ricordo indelebile nella comunità di Elwood (NY) in cui ha vissuto e lavorato per anni.
"Ho vissuto fino a ventisei anni negli Stati Uniti, per arrivare nel 2006 a Porto Sant'Elpidio, dove ho giocato come pitcher per passare poi a Montegranaro e a Macerata. L'idea del Baseball English Camp era di mio padre, che è morto nel 2009. Così sin dalla prima edizione, il Camp è stato intitolato a lui: è il John LoPipero Memorial".
Un'idea -quella di associare l'insegnamento dell'inglese con quello del baseball- che ha trovato sporadici imitatori altrove. "Ma noi siamo riusciti a creare una buona struttura organizzativa e ad avere continuità nel tempo", precisa Michael, "è per noi un'orgoglio essere giunti alla sesta edizione del Camp, nonostante le difficoltà".
La giornata è organizzata in due fasi. La mattina è dedicata alla lezioni d'inglese: otto insegnanti madrelingua interagiscono con i ragazzi dai 10 ai 17 anni divisi in quattro gruppi a seconda dello loro competenze linguistiche. Le "lezioni" consistono in giochi ed esercizi che si svolgono direttamente nei dugout e nelle installazioni del campo. I contenuti delle lezioni di inglese per il gruppo di livello superiore sono quelli più attinenti al baseball.
"I ragazzi imparano meglio quando l'insegnamento è inserito nel contesto di un'attività che amano. In questo caso il baseball. Ed è bellissimo vedere come questi ragazzi percepiscono ed assimilano il gioco."
Il pomeriggio è dedicato al baseball, con allenamenti divisi per gruppi e un calendario settimanale in cui vengono affrontati e ripassati i fondamentali di ogni ruolo difensivo, della battuta e della corsa sulle basi, per finire con l'attesissima partita dell'ultimo giorno che coinvolge tutti i partecipanti.
Ma non si tratta solo di allenamenti. Basta parlare con i ragazzi e ci si accorge che la loro è stata un'esperienza totale, con i pasti consumati insieme, il gioco alla luce dei riflettori anche a piedi nudi sull'erba mentre sul campo da softball accanto si gioca in notturna, lo spirito cameratesco del condividere tutti uno stesso tetto. Vivere il baseball con intensità, continuamente, in un recinto magico -il diamante- che per questi ragazzi a tratti rievoca quello di Field of Dreams. "Noi vogliamo che in questa settimana i ragazzi diventino più responsabili, crescano, maturino. Per loro si tratta di un'esperienza memorabile, e ce ne sono che tornano al Baseball English Camp anche tre o quattro anni di seguito". Chiedo a Michael della provenienza dei ragazzi che si iscrivono. "Vengono soprattutto dal Nord, nonostante abbia fatto pubblicità contattando i comitati regionali e le società di tutta Italia, dall'Abruzzo alla Val D'Aosta, dall'A alla Z. Dal Sud il feedback è negativo. Ti rispondono: ‘C'è la crisi, il baseball sta morendo…'"
Già: la crisi. Quella economica del Paese e quella del baseball italiano.
"Ormai faccio l'insegnante d'inglese a tempo pieno. Di baseball qui non si può vivere e ho dovuto cercarmi un lavoro". E arriviamo alle cause della decadenza del nostro baseball. Qui Michael vuol parlare "forse brutalmente, ma con sincerità: in Italia c'è corruzione e la logica imperante è dunque quella di prendere oggi perché non sai cosa potrà succedere domani. Si fanno pochi programmi per il futuro. Le società e anche la federazione dovrebbero ricominciare dal basso, dal minibaseball, mentre si vuole costruire la casa dal tetto, dalle serie superiori per poi scendere. Così si muore. Bisogna invertire la piramide del baseball. Ho fatto parte dell'organizzazione dei mondiali del 2009 qui a Macerata. A quell'epoca lì c'erano moltissime squadre di ogni categoria, Allievi, Cadetti, la serie B, tantissimi ragazzi… Credo che la Federazione non abbia fatto molto per mantenere alto l'interesse verso il baseball in questa zona, e tanto è andato perduto. Provi a spingere, a coinvolgere le persone, a far crescere il movimento, ma alla fine ti ritrovi solo".
È un discorso che in questi anni si sente spesso sui nostri diamanti, sugli spalti sempre più vuoti degli stadi. E la storia di Michael LoPipero è quella dei (tanti? pochi?) tecnici, giocatori ed ex-giocatori, appassionati e tifosi che vivono con apprensione questi anni difficili. Ma il Memorial John LoPipero Baseball English Camp -accanto ad altre realtà locali sparse per tutta la penisola- contribuisce a mantenere accesa la fiammella della rinascita facendo vivere a un gruppo di ragazzi una settimana di baseball durante la pausa estiva. Può sembrare poco, può sembrare molto. Ma l'obiettivo è appunto quello di agire localmente pensando globalmente. Per crescere di nuovo, per crescere insieme.
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