D. Ormai il baseball per ciechi ha più di vent'anni di vita. Possiamo fare un bilancio della vostra attività come onlus?
R. Il bilancio è più che lusinghiero. Siamo partiti con una squadra, poi con due, adesso ne abbiamo otto. C'è un'altra squadra che si sta formando in Friuli, che è ai primi passi, ma sono molto ben intenzionati, ben organizzati, e dunque speriamo. Noi andiamo avanti così: più si gioca, più ragazzi ciechi praticano questo sport, più riusciranno a usufruire di questa opportunità per rendersi abili nella vita.
Qual è il rapporto fra il mondo del baseball per ciechi e quello dei vedenti? Che tipo di risposta avete trovato nel mondo del baseball italiano?
C'è curiosità perché nessuno riesce a crederci, anzi è proprio chi ha praticato il baseball a non credere che lo si possa giocare così. I giocatori vedenti che assistono per la prima volta a una partita per ciechi dicono: "È impossibile, ci vedono!". Anche noi della AIBxC quando abbiamo cominciato abbiamo tutti provato a giocare, ci siamo bendati e abbiamo fatto delle figuracce! Il nostro rapporto con le istituzioni del baseball è ottimo perché dalla Federazione ci hanno aiutato molto in un'ottica di interscambio. Abbiamo ricevuto un grande aiuto a livello arbitrale: senza la collaborazione della FIBS che ci ha messo a disposizione gli arbitri feredali non saremmo mai giunti a questo punto. Ma c'è meno risposta da parte di quelli che sono dentro il baseball giocato: abbiamo bisogno di allenatori e abbiamo problemi a trovarne.
Ecco, tocchiamo questo punto. Oggi alla fine della tua relazione hai lanciato un appello agli allenatori. Tecnicamente qual è la differenza fra il lavoro che svolge l'allenatore per vedenti e quello per non vedenti?
Sembrerà strano, ma il lavoro è lo stesso. Si fa lo stretching come nel baseball normale. Se uno viene a un nostro allenamento gli parrà di veder giocare dei vedenti: si corrono le basi guidati da degli ausili sonori, ma i corridori vanno da soli. In battuta è come se uno usasse il fungo: ci si propone la palla da soli e la si batte. Il fungatore batte la palla con due mani, i giocatori ciechi con una. Se si guiarda con attenzione si vedrà che i più bravi dei nostri giocatori battono la palla esattamente come si fa nel baseball per vedenti.
Quindi anche le tecniche d'allenamento sono simili?
Sì, sono diversi gli approcci perché le tecniche e i movimenti devi spiegarli toccando i giocatori: come devono battere la palla, come devono scivolare, ecc. Per il resto è come insegnare il baseball a dei ragazzini alle prime armi.
Nella tua relazione hai parlato di un impegno non gravoso per chi decidesse di allenare una squadra di baseball per ciechi.
Purtroppo ancora non siamo giunti ancora al punto di poterci allenare tutti i giorni. Facciamo due allenamenti a settimana, il campionato con otto squadre prevede per ognuna di esse un totale di 56 partite di campionato -tre partite per ogni squadra nei gironi e nell'integirone ne gioca quattro su doppi incontri: due partite da sette riprese l'una nello stesso giorno. Sembrano tante partite, ma si tratta di sette domeniche da marzo fino a giugno (e considerando quanto si gioca nell'IBL oggigiorno forse giochamo più partite noi…). Poi non c'è stress perché fra noi c'è un fair play di fondo, c'è il terzo tempo come nel rugby, c'è rivalità ma non odio.
Parliamo dell'espansione nel mondo del Baseball per Ciechi.
Siamo stati a Cuba nel 2000. Quando siamo ripartiti da lì c'erano una ventina di giocatori. Poi ne abbiamo perse le tracce. Recentemente abbiamo scoperto che laggiù giocano ancora. Abbiamo dunque riallacciato i rapporti, abbiamo spedito loro del materiale e il nostro presidente andrà in visita a Cuba ad aprile. Negli USA invece ci abbiamo provato per molto tempo con scarsi risultati. Avevamo fatto una spedizione anni fa quando andammo ai campionati mondiali di beep-ball, con Rick Landucci, il campione che ci ha accompagnato, per fare una dimostrazione del nostro baseball, ma non abbiano trovato interlocutori. Ci siamo trovati di fronte a un muro, non ne vogliono sapere di fare uno scambio di esperienze. Quest'anno mi è arrivata un richiesta dal loro presidente, gli abbiamo spedito due scatole delle nostre palline, ma non abbiamo ricevuto risposta. La cosa è finita lì, non mi hanno neanche ringraziato. In fondo gli americani pensano: "Noi giochiamo a baseball e loro no", è questo il punto. Adesso abbiamo intrapreso una nuova strada, con Ada Nardin di Roma e Matteo Briglia di Milano -e Matteo lo conoscete perchè è anche collaboratore del vostro sito- . Ada e Matteo sono stati splendidi nella loro cocciutaggine, nel credere in quello che facevano e hanno dedicato sei mesi della loro vita a diffondere il BxC laggiù, a loro spese e senza nessun aiuto da parte nostra. Si sono messi in contatto con vari istituti di ciechi, uno di quali con sede nel Bronx che li ha accolti e si è mostrato intenzionato a dare un seguito alla cosa. Speriamo che per la prossima stagione si formino almeno due squadre a New York.
Per finire: in Italia lo Stato quanto è presente, quanto vi aiuta nel vostro lavoro? Qual è il vostro rapporto con le istituzioni che si occupano dei ciechi?
Allo Stato noi non chiediamo nulla. Con le istituzioni dei ciechi stiamo invece cercando di costruire un rapporto strutturato. Siamo comunque entrati nel Comitato Italiano Paralimpico tramite la FIBS, che ci aiuta anche finanziariamente in certi progetti che realizziamo all'estero. Abbiamo la fortuna di avere sponsorizzazioni che ci permettono di campare senza chiedere aiuti, e questa è la nostra forza.
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