Il baseball è il regno dei numeri e della geometria. Se i multipli di due e di tre scandiscono i ritmi del campo e della partita (quattro basi distanti 90 piedi, il monte del lanciatore a 60 piedi dal piatto; 3 strikes, 4 balls, 3 avversari da eliminare per concludere ogni metà dei 9 innings), le corse dei corridori e le traiettorie di lanci e battute incrociano uno spazio che è segnato dalla simmetria: il diamante si sviluppa armonicamente intorno all'asse centrale che passando da casa base e seconda base divide in due l'angolo di 90 gradi formato dall'intersezione delle due linee di foul. I due box del battitore, disposti uno accanto all'altro di in maniera speculare ai due lati del piatto, sono lì a ricordarci questa simmetria che offre a destri e mancini un mondo apparentemente paritario ma in fondo profondamente disuguale (ingiusto?) per opportunità e caratteristiche di gioco. Perché il mondo è dei destri e ai mancini sono praticamente preclusi da quattro ruoli su nove, nonostante il tentativo di rispettare -invano- il principio di simmetria nella disposizione in campo: se il terza base è sempre destro e il prima base può essere (è preferibile che sia?) mancino, è invece vero che i catcher mancini sono una rarità, e lo stesso dicasi per interbasi e difensori di seconda.
Devi dunque scegliere -o è la natura a scegliere per te- da che parte stare, e la tua scelta romperà l'armonia del gioco, disturberà quel principio di simmetria che è sinonimo di perfezione. Chi ha giocato sa di avere la muscolatura di un lato del corpo più sviluppata dell'altro: il baseball, sport costruito sulla simmetria, è allo stesso tempo il regno della lateralità. Certo, ci sono gli switch hitters, che in battuta sanno colpire la palla sventolando da entrambi i lati, preziosi nel line-up quando la squadra avversaria alterna lanciatori destri e mancini sul monte. Ma c'è poco da fare: dentro e fuori dal campo l'uso preferente di una mano segna le nostre esistenze e gli ambidestri sono rarissimi (sulla lateralità è da rileggere un capitolo che tanti anni fa dedicò alla questione l'antropologo Desmond Morris nel libro L'uomo e i suoi gesti).
The Man With Two Arms (2010) di Billy Lombardo ci narra la storia di una di queste rarità: un pitcher ambidestro, frutto di un vero e proprio esperimento umano e sportivo. Il romanzo si apre nel 1984, quando in una casa di un sobborgo di Chicago esattamente equidistante da Wrigley Field e Comiskey Park (gli stadi, rispettivamente, dei Cubs e dei White Sox) nasce Danny Granville. Suo padre Henry, docente uiversitario di Etologia Animale, ha grandi progetti per lui: ha passato la gravidanza di sua moglie a leggere The Natural di Bernard Malamud davanti al pancione per poter trasmettere al nascituro la sua passione per il baseball. Sin da piccolo Danny dimostra di saper usare entrambe le mani nei gesti quotidiani e Henry decide di incentivare questa sua propensione per far di lui uno switch pitcher. Comincia così un lungo tirocinio fatto di esercizi a ripetizione in cui il bambino impara a usare sia la destra che la sinistra, prima giocando, poi usando le posate, lo spazzolino da denti, la penna, ogni utensile. Danny riesce così a scagliare la palla con entrambe le mani con estrema forza e precisione. Il padre fa fabbricare per lui un guanto speciale, costruisce un monte e sistema un piatto nel garage di casa per farlo lanciare, lo porta spesso ai tunnel di battuta a pagamento per farlo allenare come switch hitter. Il tutto accompagnato da riflessioni sulla lateralità, sullo sviluppo armonico dell'uomo dal punto di vista fisico e mentale, sulle trasformazioni neurologiche e comportamentali e persino sulle conseguenze sociali della creazione di individui ambidestri.
Arrivano gli anni dell'adolescenza, gli studi alle superiori, poi all'università, e si capisce che Danny è destinato a diventare un lanciatore professionista. Ben presto si presentano talent scout attratti dalle sue statistiche, e cominciano a fioccare le offerte per giocare in Major. Ma la vita non è solo baseball. Danny si innamora di Bridget, la sua professoressa di disegno (ovviamente Danny se la cava egregiamente tenendo matite e pennelli sia con la destra che con la sinistra), una ragazza più grande di lui che lo inizierà al sesso. Ed è proprio Bridget che scoprirà -chiedendo a Danny di posare come modello per i suoi quadri- che il corpo del ragazzo è perfettamente simmetrico: i suoi muscoli si sono sviluppati armoniosamente, le due metà del suo corpo sono perfettamente speculari. Come nell'"Uomo Vitruviano", il disegno in cui Leonardo Da Vinci rappresentò il corpo umano come sviluppo di assi in un cerchio, c'è qualcosa di artificiale, di innaturale, qualcosa di mostruoso in Danny.
La simmetria non è di questo mondo (vengono in mente i versi con cui William Blake contemplava sgomento la tigre: "Tiger, tiger, burning bright / In the forests of the night, / What immortal hand or eye / Could frame thy fearful symmetry?") e qualcosa è cambiato anche nella mente di Danny: il ragazzo scopre di possedere una specie di sesto senso, delle capacità premonitorie che gli permettono di sapere dove sarà battuta la pallina che sta per lanciare, ma anche cosa accadrà a quella ragazza che se scende dall'autobus sarà travolta da un'auto in corsa.
Intanto Danny ha firmato un contratto a sei zeri con i Cubs. Le sue statistiche fanno di lui un Messia che potrebbe finalmente far vincere qualcosa alla squadra di Chicago e la stampa è in visibilio. Ma la pressione è tanta. Danny entra in crisi dentro e fuori dal campo di gioco. Capisce di essere un freak, un fenomeno da baraccone. Lo capisce anche un reporter che riesce a carpire a suo padre Henry un'intervista in cui questi imprudentemente rivela di aver applicato sul piccolo Danny le proprie teorie sulla bilateralità. L'intervista viene pubblicata e Henry viene additato come un novello Frankenstein senza scrupoli che ha usato suo figlio come cavia. Danny fugge e tarderà a trovare dentro di sé la forza per accettare se stesso e la propria storia tornando in campo a fare ciò per cui è stato "creato": lanciare.
Abbiamo dunque un romanzo che assembla con una certa originalità uno serie di topoi e motivi narrativi della baseball fiction che negli anni passati abbiamo spesso incontrato e analizzato in questa rubrica: c'è il tema del rapporto padre-figlio e della trasmissione del baseball fra le generazioni; la ripresa della figura del "Natural", dell'atleta predestinato ad eccellere; il motivo del "campione venuto dal nulla" che rialza le sorti di una squadra in declino; il tema della scienza che sperimenta sul campo per far ottenere prestazioni al limite dell'incredibile. E c'è poi -e chi segue il baseball USA lo avrà colto immediatamente- il riferimento al mondo reale, all'attualità. The Man With Two Arms non può non richiamare alla mente il caso di Pat Venditte, il pitcher italoamericano ambidestro da poco giunto in Major League, anch'egli addestrato da suo padre sin da piccolo a lanciare con entrambe le mani. Ma nel suo caso la simmetria, come sappiamo, è in qualche modo imperfetta, perché Venditte lancia da sopra con la destra e da sotto (con un lancio "sottomarino") con la sinistra.
The Man With Two Arms è un romanzo godibile nei dettagli tecnici del gioco per chi vorrà affrontarne la lettura (in inglese:come accade spesso per la baseball fiction, il libro non è stato tradotto in italiano), ma un po' debole nella costruzione dei personaggi, dalla psicologia non sempre convincente, e con la trama amorosa Danny-Bridget decisamente melensa. Insomma, l'impressione è quella di trovarsi di fronte a un esercizio narrativo, un caso di scuola interessante attorno a cui si è voluto costruire un romanzo usando ingredienti un po' scontati. Anche Billy Lombardo, come l'Henry Granville del romanzo, ha pianificato a tavolino un esperimento solo in parte riuscito.
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