Tutto preso ieri dall'è meglio la proposta della FIBS o peggio l'idea delle squadre di IBL, della riunione di Bologna sulla riforma dei primi due campionati di baseball mi è sfuggito il peso di una cosa detta fra le altre dal presidente federale Marcon, e non fra quelle di secondo piano. La nuova impostazione – messa appunto come una delle due cose non trattabili – che si vorrebbe dare ai regolamenti in materia di atleti stranieri, italiani, denominazioni varie, e resto del mondo. "Imposta" o voluta che sia.
Con la divisione dei giocatori in due sole categorie, scuola italiana e non – a parte l'interregno, il prossimo anno, della chiusura del capitolo ASI – e senza più vincoli numerici nel line up e discorsi di cittadinanza, con la totale parificazione dei comunitari agli italiani il rischio è quello di vedere in campo squadre formate da due stranieri (tanti sarebbero i visti concessi per il 2018 alle formazioni del massimo campionato) e otto giocatore made in UE. Con solo un AFI (atleta di formazione italiana) nella partita espressamente riservata al lanciatore con quattro anni di giovanili in Italia (o all'ASI nell'interregno), al netto di eventuali accordi fra gentiluomini, che però proprio Marcon ha precisato non possono avere alcuna copertura in ambito federale.
Il presidente ha detto di non aver nessuna intenzione su questo argomento di dilapidare soldi in cause legali, fra avvocati e risarcimenti. Ma allora, se non si intende tutelare in qualche modo i giocatori italiani e, in prospettiva, la nazionale, tanto valeva non spendere nemmeno quelli per le European Series di fine ottobre con l'Olanda.
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