Ventuno parole. Con appena ventuno parole il Consiglio Federale della Fibs di giovedì nel proprio comunicato ha liquidato l’esclusione del Rimini Baseball dal campionato di A1 e dalla prossima Coppa Campioni. Certo, era una conclusione annunciata dopo la Pec (con tanto di rinuncia) inviata l’11 marzo dalla società riminese in Federazione e dopo i tentativi andati a vuoto di garantire ai Pirati un futuro nella massima serie. Il guaio è che ormai sembra quasi una routine: Padova decide di rinunciare alla serie A1, Padule la segue a ruota, Città di Nettuno viene escluso per il fallimento e ora l’addio di Rimini, con la metà delle squadre di A1 2018 che spariscono, portandosi dietro 30 scudetti: un campionato a sette, appena 24 partite. Oh ragazzi, 24 partite, una miseria, mettere assieme un centinaio di turni in una stagione diventerà quasi un’impresa.
Rimini dunque affonda definitivamente il 21 marzo, primo giorno di primavera, uno di quei giorni in cui Rino Zangheri era solito presentarsi al campo a vedere come stava crescendo la sua “creatura” che aveva costruito durante l’inverno. Perché Rimini è sparita dalla geografia del baseball che conta, quello che assegna lo scudetto, quello che ti permette di andare a caccia della Coppa Campioni? La risposta immediata, scontata, forse più semplice, magari anche comoda, è che il presidente Simone Pillisio (attualmente in carica) ha deciso dopo solo un anno di abbandonare il vascello dei Pirati. Come ha sempre ripetuto, “le condizioni sono cambiate” o “non c’erano più le condizioni per restare” e quella squadra costruita pochi mesi fa per tornare a vincere, è stata trasferita in blocco a Nettuno. Poi ha detto un’altra cosa: “Adesso vediamo cosa sono in grado di fare i riminesi”. Detto che a tre mesi dall’inizio del campionato tutto diventava tremendamente difficile, dal famoso 18 gennaio, giorno in cui lo stesso Pillisio ha annunciato di lasciare Rimini, non si è fatto nulla di concreto. O meglio, nessuno, o quasi nessuno, ha alzato la manina per dire “io ci sono, proviamoci”. Si è dovuto muovere qualcuno dalla Svizzera o dalla Toscana per provare a lanciare una proposta, fattibile o impossibile nessuno lo saprà mai, ma soprattutto si è capito subito che non ci sarebbero state le condizioni per proseguire.
La triste realtà è che Rimini come città, sportivamente parlando, non è in grado di gestire una squadra di vertice: fino a quando c’è qualcuno che apre i “rubinetti” va tutto bene, quando il patron molla per svariati motivi, allora cala la notte. Gli esempi, ahinoi, si sono susseguiti nell’arco degli anni e ora è toccato al baseball entrare nella collezione di fallimenti sportivi cittadini. Una conclusione annunciata, sì, ma che fa male, adesso come un paio di mesi fa, soprattutto adesso che si sta avvicinando l’inizio del campionato e in un contesto nazionale l’assenza dei Pirati (come di Nettuno, intendiamoci) non può passare inosservata. Non può e non deve e su questo la Fibs deve porsi dei quesiti. Perché si è disperso un patrimonio enorme, perché il Rimini Baseball era, resta e resterà la squadra più titolata da queste parti, un vanto per la città e una punta di diamante per il batti e corri italiano.
Il futuro? A questo punto la palla passa all’amministrazione comunale, che dovrà capire se ci potrà essere la capacità e la volontà di cooperare tra le varie società della provincia, convocandole attorno a un tavolo e aprire una discussione. Oppure lasciarle coltivare il proprio orticello, ognuna con le proprie risorse e i propri obiettivi da raggiungere.
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